Due terzi del nostro territorio è a rischio idrogeologico. Eppure porta più consenso elettorale il raddoppio di una strada che la cassa di espansione di un fiume.
di Sandro Angiolini
21 maggio 2023
La notizia ambientale da commentare questa settimana non può non essere quella relativa ai danni provocati dalle alluvioni che si sono verificate in Emilia-Romagna. Non sto a ricordare i numeri dei morti, degli sfollati, del valore dei danni alle infrastrutture e alle colture: li conoscete già, i media non hanno fatto altro che soffermarsi sugli aspetti più drammatici di questo avvenimento, senza interruzioni, senza pietà per chi ne è stato colpito.
E proprio da questo elemento parte la mia riflessione. Probabilmente sbaglio io, ma è possibile che per le prime 48-72 ore da quando se ne è cominciato a parlare il 99% del tempo sia stato dedicato solo agli aspetti di cronaca e di disgrazia, senza cercare di capirne le cause profonde, e soprattutto che cosa sarebbe necessario fare per prevenire simili eventi in futuro? Purtroppo in Italia (e non solo) le principali fonti d’informazione fanno così, sembra non esserci alternativa. E personalmente sono convinto che tutto questo non aiuti il Paese a crescere in alcune importanti consapevolezze, senza le quali (sempre a mio modesto parere) non si potrà migliorare lo stato delle cose.
La prima consapevolezza da diffondere è che l’Italia è un paese molto fragile. Spesso chi gestisce le istituzioni e chi fa politica tende a dichiarare l’esatto contrario: quanto siamo bravi, quanto siamo unici, quanto siamo forti (e ammettiamolo, in qualche cosa lo siamo davvero). La realtà del territorio italiano però è un’altra:
siamo una delle aree al mondo più soggetta a terremoti, anche di intensa gravità;
ospitiamo alcuni vulcani ancora attivi e potenzialmente in grado di fare piazza pulita di ciò che si trova loro attorno nel giro di ore;
abbiamo i 2/3 della superficie totale soggetta a rischio idro-geologico;
siamo una delle nazioni europee a maggiore consumo di suolo (cioè lo rendiamo incapace di assorbire, filtrare, trattenere acqua- e l’Emilia-Romagna è, guarda caso, una delle zone dove lo si è continuato a consumare di più).
Tutto questo lo si sapeva anche prima che nel mondo si cominciasse a parlare di cambiamento climatico. Abbiamo forse, di conseguenza, adottato delle priorità di politica economica e di gestione del territorio conseguenti, in modo da prepararci al peggio? In sostanza no.
Non abbiamo infatti:
scelto di puntare sul trasporto pubblico per diminuire le emissioni nocive;
continuiamo a frenare sulla realizzazione di molti impianti solari ed eolici e di altre energie rinnovabili;
il numero di iscritti alle facoltà universitarie di tipo scientifico (ingegneria, geologia, matematica, agraria, etc) è tuttora risibile rispetto alle nostre necessità oggettive. Potrei continuare quasi all’infinito nell’elencare perché siamo rimasti indietro rispetto alla gravità di ciò che ci aspettava: purtroppo si riscuote più successo elettorale nell’inaugurare il raddoppio di una strada che la cassa di espansione di un fiume.
Mi si dirà che quando piove in due giorni la quantità di pioggia che di media viene giù in 6 mesi non c’è niente da fare: non sono d’accordo. Quando una dozzina d’anni fa partecipavo a Bruxelles a dei dibattiti sulle possibilità di adattamento al cambiamento climatico vi confesso che ascoltavo con una certa sorpresa rappresentanti di altri Paesi che elencavano i loro sforzi per elaborare modelli previsionali affidabili, ristrutturare le reti idriche-fognarie-elettriche, imporre nuovi standard edilizi, creare aree verdi sia all’interno delle città che accanto ai corsi d’acqua più a rischio e così via. Oggi capisco che loro si sono mossi prima, e in molti casi meglio di noi.
Che invece continuiamo a sprecare risorse pubbliche, non riusciamo spesso a utilizzare quelle di cui disporremmo e gestiamo troppi comparti della pubblica amministrazione a casaccio. Anche da qui derivano i danni delle alluvioni, ma raramente i media se ne occupano. Amen.
OLTRE LA SIEPE è una rubrica settimanale che parte da eventi/notizie relative all’ambiente e all’economia su scala nazionale o internazionale per riflettere su come queste possono impattare sulla scala locale e regionale toscana.
Sandro Angiolini – Figlio di mezzadri, è agronomo ed economista e ha conseguito un Master in Politiche Ambientali presso l’Università di Londra (Wye-Imperial College). Ha scritto numerosi articoli sui temi dello sviluppo rurale e sostenibile e tre libri sull’agriturismo in Toscana. Per 29 anni funzionario presso amministrazioni pubbliche, svolge attualmente attività di consulente economico-ambientale e per lo sviluppo rurale integrato, in Italia e all’estero, oltre a varie iniziative formative e di comunicazione. È fortemente impegnato nel settore del volontariato ambientale e culturale.
È di recente uscito il suo libro “Comunicare meglio-istruzioni per l’uso”, un manuale divulgativo sulle tecniche di comunicazione rivolto ai non addetti ai lavori. Vedi https://www.amazon.it/dp/883221184X?ref_=pe_3052080_397514860
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