Il comparto del tessile prodotto per i ristoranti deve guardare con attenzione anche agli impatti ambientali del tessile-moda.
di Marcello Bartoli
Uno studio del 2013 metteva a confronto le prestazioni ambientali nell’intero ciclo di vita del tovagliato riutilizzabile in tessuto e di quello in carta monouso per il settore risto-alberghiero del Comune di Firenze e giungeva alle conclusioni che il consumo di risorse materiali ed energetiche, le emissioni inquinanti e la produzione di rifiuti legati all’utilizzo del tessile, considerando le possibilità di riuso garantite da un lavaggio su scala industriale, sono inferiori rispetto a quelli derivati dall’adozione del tovagliato di carta monouso.
Ciò non significa che anche il comparto produttivo del tessile per la ristorazione non possa migliorare il proprio impatto ambientale in termini di consumo di materie prime, acqua, suolo ed emissioni di gas serra in atmosfera. La questione dell’impatto ambientale tra tessile e monouso è senz’altro rilevante, anche in ottica di economia circolare, considerato che a partire dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore su tutto il territorio nazionale l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili con il decreto legislativo n. 116/2020 e che a livello europeo diventerà obbligatorio entro il 2025.
L’Agenzia regionale di Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) si è occupata di recente degli impatti ambientali prodotti dal comparto tessile-moda. In attesa che la Commissione Europea elabori, in via definitiva, la strategia per la sostenibilità e circolarità nel tessile, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), nei primi giorni di marzo 2022, ha pubblicato un nuovo rapporto che contiene un’analisi dettagliata sugli impatti ambientali prodotti dal comparto industriale tessile-moda, soffermandosi anche su come incida sul cambiamento climatico.
Bisogna premettere che gli impatti sull’ambiente si verificano in varie fasi del ciclo di produzione sia durante la coltivazione e produzione delle fibre naturali come il cotone, la canapa e il lino che nella realizzazione delle fibre sintetiche, come poliestere ed elastane. Le prime richiedono una grande quantità di acqua e di suolo oltre che l’impiego di pesticidi; le seconde, invece, necessitano di un alto consumo di energia e di sostanze chimiche. Questo nella fase di produzione, poi bisogna valutare gli impatti prodotti durante la fase di distribuzione e di vendita al dettaglio, entrambe responsabili di contribuire all’emissione in atmosfera di sostanze inquinanti e alla produzione di grandi quantità di rifiuti, dovute soprattutto all’imballaggio dei prodotti.
Questo non è ancora tutto. E’ necessario calcolare l’impatto che deriva dall’uso e dalla manutenzione dei capi d’abbigliamento e dei prodotti tessili per la casa. Questi infatti vengono lavati, asciugati e stirati, con ulteriore consumo di elettricità, acqua e di sostanze detergenti per la pulizia che finiscono, insieme alla microfibre rilasciate dagli abiti, negli scarichi reflui ma anche nei fiumi e nei mari. Infine quando gli indumenti e i materiali tessili per la casa vengono gettati via producono ulteriori impatti ambientali, in quanto la destinazione finale è rappresentata, per lo più, da inceneritori o discariche. Solo una piccola parte, circa l’1%, viene riciclato.
Consumo di materie prime
Per produrre i capi di abbigliamento, le calzature e il tessile per la casa acquistati dalle famiglie europee, solo nel 2020, sono state impiegate circa 175 milioni di tonnellate di materie prime, pari a 391 kg a persona. Circa il 40% di queste è destinato alla produzione di vestiti, il 30% ai tessili per la casa e il 30% alle calzature. Questo fa sì che il comparto industriale tessile sia classificabile come il quinto in termini di consumo di materie prime in Europa. Bisogna poi considerare le materie prime utilizzate nel trasporto e nella vendita al dettaglio. Solo il 20% viene prodotto o estratto in Europa, tutto il resto fuori. L’80% degli impatti sull’ambiente, generati dal consumo di prodotti tessili in Europa, hanno luogo al di fuori dell’Europa.
Consumo di acqua
La produzione di tessuti richiede grandi quantità di acqua, che il rapporto EEA distingue in “acqua blu”, ovvero acqua superficiale o sotterranea consumata o evaporata durante l’irrigazione, o utilizzata in processi industriali o ancora ad uso domestico, e “acqua verde”, ovvero acqua piovana immagazzinata nel terreno, utilizzata per lo più per le colture. Per produrre tutti i capi di abbigliamento, calzature e tessili per la casa acquistati dalle famiglie in UE nel 2020 sono stati necessari circa 4.000 milioni di m³ di”acqua blu”, pari a 9 m³ a persona. A questi si devono aggiungere altri 20.000 milioni di m³ circa di “acqua verde”, principalmente per la produzione di cotone, che significa circa 44 m³ a persona.
Il tessile si classifica al terzo posto tra i comparti industriali per consumo di acqua dopo la produzione di cibo, il settore dello svago e cultura. ll consumo di acqua per i tessili destinati al mercato europeo avviene principalmente fuori dell’Europa. Si stima che la produzione di 1 kg di cotone richieda circa 10 m³ di acqua.
Consumo di suolo
La produzione di tessuti, in particolare da fibre naturali, richiede lo sfruttamento di grandi quantità di terreno. Quello utilizzato nella filiera dei tessuti acquistati dalle famiglie europee, nel 2020, è stimato in 180.000 km², ovvero 400 mq a persona. Solo l’8% di questo si trova in Europa, oltre il 90% dell’impatto sul suolo avviene al di fuori dell’Europa, per lo più in Cina e India, dove si ha una grossa produzione di fibre naturali, in particolare cotone. Anche le fibre di origine animale, come la lana, hanno un impatto significativo sullo sfruttamento del suolo. Ciò fa del tessile il terzo settore con il più alto impatto per uso del suolo, dopo quello agroalimentare e delle costruzioni.
Emissioni di gas serra in atmosfera
La produzione e il consumo di tessili generano emissioni di gas serra, dovute in particolare all’estrazione delle risorse, alla produzione, al lavaggio, all’essiccazione e infine all’incenerimento dei rifiuti tessili. Nel 2020 la produzione dei materiali tessili consumati nell’UE ha generato in totale 121 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (CO2), pari a 270 kg CO2 per persona. Questo rende la produzione di tessile per il consumo familiare, non industriale, il quinto maggior settore per impatto sul cambiamento climatico dopo edilizia, agroalimentare, mobilità e attività ricreative e culturali.
Circa l’80% dell’impatto totale del cambiamento climatico dovuto al tessile si verifica nella fase di produzione. Un ulteriore 3% avviene nella distribuzione e vendita al dettaglio, il 14% nella fase di utilizzo (lavaggio, asciugatura e stiratura) e il 3% durante il cosiddetto “fine vita” (raccolta, cernita, riciclaggio, incenerimento e smaltimento dei rifiuti tessili).
I tessuti realizzati con fibre naturali, come il cotone, hanno generalmente un minore impatto climatico rispetto a quelli che contegono fibre sintetiche (soprattutto nylon e acrilico), che hanno generalmente un impatto maggiore sia per la loro origine, in quanto estratti dai combustibili fossili, che per l’energia consumata durante la produzione.
Aggiungi un commento