Multe e sanatorie non hanno mai fermato le illegalità. Sembra, invece, che tutti rimpiangano la vecchia consuetudine di sanare l’illecito.
di Legambiente Carrara
La vicenda delle 3 cave di cui è stata inibita l’attività, anche se in realtà per due di loro il provvedimento è stato sospeso per un vizio di forma nella notifica, merita alcune considerazioni.
Queste cave, avendo scavato oltre il perimetro consentito dall’autorizzazione, hanno commesso una grave violazione. L’Avvocatura regionale, su input del Corpo Forestale dei carabinieri, ha rilevato l’illecito e il Comune ha provveduto alla sospensione dell’attività alle tre cave e avviato la procedura per la decadenza dell’autorizzazione. A noi pare un provvedimento impeccabile: le leggi vanno rispettate e chi non lo fa deve subirne le conseguenze.
Sembra, invece, che tutti rimpiangano la vecchia consuetudine di sanare l’illecito, pagando una multa da 5 mila a 50 mila euro (tra parentesi, ci piacerebbe conoscere l’entità delle multe comminate in questi casi ai titolari delle cave inadempienti).
Va detto subito che, come tutte le sanatorie, tale consuetudine, avendo un potere dissuasivo molto modesto, non ha mai fermato le illegalità delle cave.
La sospensione dell’attività di estrazione e l’avvio del procedimento di decadenza dell’autorizzazione ci paiono, invece, un metodo più efficace per “dissuadere” davvero i concessionari e spingerli a non infrangere più la legge. Anzi, crediamo che questo iter dovrebbe essere esteso ad altre casistiche come le violazioni di carattere ambientale e quelle relative alla sicurezza, come abbiamo proposto nei nostri documenti Basta morti in cava: la proposta Legambiente (9/12/16) e Audizione alla commissione marmo: le proposte di Legambiente (20/11/17).
Siamo stati molto spesso critici verso il presidente Rossi ma, in questo caso, riteniamo che le sue dichiarazioni a sostegno dell’Avvocatura regionale e del rigoroso rispetto delle regole siano ineccepibili. Destano invece molte perplessità le dichiarazioni alla stampa dell’Amministrazione (“i nostri uffici sono al lavoro per salvare occupazione ed escavazione”) che, invocando addirittura un provvedimento nazionale per risolvere il problema, sembrano pericolosamente mirate a soluzioni simili al passato. La genericità delle dichiarazioni, infatti, non fuga il dubbio che si intenda promuovere una legge per aggirare quella attuale.
Siamo ben consapevoli del peso del ricatto occupazionale: 70 lavoratori sono a casa e temono per il loro futuro. Non siamo certo indifferenti verso il loro dramma personale. Crediamo però che accettare l’illegalità, la precarietà e altri tipi di vessazioni per garantire posti di lavoro sia la via peggiore per assicurare un’occupazione veramente stabile. Se alle aziende non fosse stato consentito di fare ciò che vogliono, anche con la scusa di evitare ripercussioni sull’occupazione, non saremmo arrivati alla situazione odierna.
Crediamo piuttosto che una grande battaglia di civiltà dovrebbe vedere in prima linea i sindacati uniti nel promuovere una legge nazionale che, nel caso di aziende chiuse temporaneamente perché hanno infranto qualche legge o hanno causato danni alla salute o all’ambiente o rischi per i lavoratori, le obblighi a garantire comunque il salario ai lavoratori rimasti a casa. Pensiamo che una legge di questo tipo, sottraendo i lavoratori al ricatto occupazionale e aggravando la sanzione a carico degli imprenditori, rappresenterebbe il vero e potente deterrente di cui c’è bisogno contro i loro comportamenti illegali.
Da questa vicenda emerge chiaramente una conclusione che noi sosteniamo da sempre: solo il rispetto delle regole e l’attenzione per la tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori costituiscono una tutela reale del lavoro e danno sicurezza di una buona occupazione.
Un’ultima osservazione: sembra che la via più praticabile, proposta dallo stesso Rossi, per uscire dalla situazione attuale sia procedere con la decadenza dell’autorizzazione e consentire una nuova richiesta di autorizzazione alle ditte. Se così avverrà, chiediamo:
- che sia applicata comunque una sospensione dell’autorizzazione per un periodo congruo (almeno un mese);
- che, non essendo possibile procedere da subito alla messa a gara della concessione per queste cave, scelta che noi preferiremmo anche per non premiare chi ha commesso una illegalità, l’autorizzazione all’escavazione venga assegnata per un tempo limitato (uno/due anni) in modo da poter procedere alla gara per la nuova concessione, non appena sarà approvato il nuovo Regolamento degli agri marmiferi cui l’Amministrazione sta lavorando.
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