Rifiuti e riciclo

Rifiuti e raccolta differenziata, una Toscana che viaggia a due velocità

Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana
Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana
Accanto a un gruppo di Comuni virtuosi ce ne sono molti che arrancano. Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana: “Problema culturale, investire su educazione e tecnologia”.

 

di Stefania Calleri – ARPAT

Per gentile concessione di ARPAT (Agenzia regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) pubblichiamo un estratto dell’intervista a Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana. Di formazione architetto, Fausto Ferruzza per Legambiente riveste anche a livello nazionale la carica di responsabile Paesaggio.

Partendo dai dati pubblicati dall’Agenzia regionale Recupero Risorse (ARRR) sui rifiuti urbani prodotti in Toscana nel 2016- i più recenti a nostra disposizione – emerge una realtà regionale che si potrebbe definire “a macchia di leopardo”: a fronte di situazioni preoccupanti vi sono realtà di eccellenza.
In Toscana ci sono dei Comuni definibili come veri e propri “modelli ”. Si tratta di circa 50 su un totale di 279, sia piccoli che medio grandi. Di questi, 47 Comuni raggiungono e superano il 65% di raccolta differenziata e attestano la loro produzione totale di rifiuti sotto i 500 kg abitante anno. A questi se ne affiancano altri 6 che sono prossimi al fatidico obiettivo del 65% di raccolta differenziata, superano comunque il 60% e producono una quantità di rifiuti inferiore ai 500 kg abitante.

Cosa impedisce, a suo giudizio, di replicare questi modelli virtuosi in altri territori toscani dove, al contrario, la raccolta differenziata risulta bassa e la quantità di rifiuti indifferenziati alta?

«Tutto parte da fattori culturali. Non ci sono, né potrebbero esservi cause ostative di natura tecnica. Ormai, a qualsiasi metodo ci si affidi, è pacifico che si dovrà tendere a minimizzare la quota d’indifferenziato e quasi tutti i gestori hanno messo nelle condizioni i cittadini di poter conferire al meglio i propri scarti. Tutti, dico proprio tutti (istituzioni, aziende, cittadini), debbono remare nella stessa direzione, che è obbligata e conveniente per la collettività. Questa direzione di marcia noi la chiamiamo “Economia Circolare” e presuppone un cambio di paradigma nella concezione stessa della vita dei materiali. Non più lineare: attingo, trasformo, uso e getto – bensì per l’appunto circolare: uso, riuso, trasformo, e ancora riciclo e riuso. In un certo senso, un eterno ritorno … Sembra faticoso, in realtà è il recupero della nostra atavica tradizione contadina del non si butta via nulla, che l’epoca moderna (basata su una crescita illimitata e su un materiale controverso come la plastica) aveva messo maldestramente in sordina. Quindi, in buona sostanza, dobbiamo investire con più coraggio nelle politiche educative e nell’infrastrutturazione tecnologica che questo sforzo epocale comporterà. Perché è evidente che occorreranno nuovi impianti di stoccaggio, selezione e trasformazione, strategici per le azioni di riciclo della materia. Anch’essi difficilmente percepibili come a “impatto zero”».

Sempre facendo riferimento ai dati pubblicati da ARRR, tra i Comuni toscani con un’alta produzione di rifiuti urbani (differenziati e non) sembra emergere, in molti casi, una correlazione con l’elevato afflusso turistico. Quali potrebbero essere, a suo avviso, le soluzioni per prevenire questo problema che determina un sicuro impatto ambientale?

«Vorrei partire da una considerazione più generale, che emerge chiaramente dai dati ARRR 2016. Dall’idea, cioè, che anche in Toscana si viaggi a due velocità. C’è una Toscana vivace e pronta al cambiamento, penso all’Empolese Valdelsa, alla Valdinievole, alla Lucchesia, che può vantare performance ambientali in tutto simili alle percentuali lombardo/venete – e poi c’è una Toscana che arranca. Ed è la stessa parte della nostra regione che ha sofferto di più gli effetti di una crisi ormai più che decennale. Sto parlando della Costa, della Provincia di Massa Carrara e della Maremma. Certo, queste aree sono anche quelle a naturale e più immediata vocazione turistica, ma credo che il primo dato di cui tener conto sia quello degli indici di sofferenza economica. Se stai male, se sei scivolato inesorabilmente nella fascia di povertà, sei meno disposto allo sforzo di ridurre i tuoi rifiuti e differenziarli coscienziosamente.
A questa componente, poi, si aggiunge quello che io chiamo fattore “zona franca”. Ossia l’idea che da turista in Toscana mi siano concesse deroghe rispetto alle modalità civiche che osservo nel mio luogo di residenza. E’ un atteggiamento da combattere duramente, attrezzando meglio i nostri presidi ricettivi, ma anche e soprattutto puntando a una maggiore sensibilizzazione dei nostri ospiti. Ancora una volta: educazione, comunicazione e tecnologia. E’ una via impervia, costellata di difficoltà, ma è obbligata. Non abbiamo scelta».

C’è chi sostiene che un’elevata produzione di rifiuti, se accompagnata a un’alta percentuale di raccolta differenziata, favorisca il riciclo e quindi l’economia circolare. Altri invece puntano maggiormente sulla prevenzione dei rifiuti. A un occhio poco esperto sembra quasi esserci un dilemma tra scegliere la prima o la seconda strada. Qual è la sua idea al proposito? e infine, quali soluzioni concrete prospetta per ridurre tout court i rifiuti urbani? 

«Sinceramente non vedo dicotomie al riguardo. Non si tratta di scegliere, si tratta di coordinare in modo organico le varie azioni. Tutte necessarie e imprescindibili, se vogliamo davvero entrare nell’ottica dell’economia circolare. Occorre ridurre, occorre riusare, occorre differenziare al massimo delle nostre possibilità, occorre infine riciclare. 
Tutte queste azioni sono interconnesse e indispensabili l’un l’altra. Per ridurre, in particolare, che è il prerequisito di ogni buona pratica in questo campo, bisogna agire su più leve. Innanzitutto innovando il design, in modo che gli oggetti, gli utensili, gli elettrodomestici, possano durare il più a lungo possibile per poi esser riciclati. Ancora, riducendo drasticamente gli imballaggi (di ogni genere e tipologia), premiando sempre di più la grande distribuzione che incoraggia la vendita alla spina e l’acqua dei fontanelli. Infine, responsabilizzando ancor di più i cittadini/consumatori a usare meglio il loro “voto col portafoglio”. Perché, in tempi di comunicazione social, esso è capace di condizionare rapidamente e irreversibilmente il mercato. La vicenda della scomparsa dei prodotti alimentari contenenti olio di palma, da questo punto di vista, è illuminante.
Insomma: alle istituzioni il compito di decidere e mettere nelle migliori condizioni possibili cittadini e operatori economici per svolgere il proprio dovere, a noi tutti quello di agire. Il tempo delle chiacchiere, infatti, è finito. Dobbiamo far sì che la Toscana torni presto a presidiare i quartieri alti della classifica nazionale anche in tema di gestione integrata dei rifiuti. Quel 13° posto, infatti, non ci fa affatto onore».

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