Che cosa sono – e perché sono pericolose per la salute – le sostanze diventate tristemente famose per aver contaminato le acque potabili nel Veneto.
di Vincenzo Cordiano, specialista in Medicina interna, presidente ISDE Veneto
Patrizia Gentilini, oncologa, Giunta nazionale ISDE Italia
Introduzione
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono probabilmente ancora sconosciute alla maggior parte delle persone ma, dietro questo strano nome, si celano agenti chimici che sono molto più vicini a noi di quanto immaginiamo e che ci conviene conoscere meglio per le ripercussioni che hanno sulla salute e sull’ambiente.
Il problema dei PFAS è venuto alla ribalta in seguito a quella che è probabilmente la più grave e ampia contaminazione mai riscontrata al mondo verificatasi in 60 Comuni dislocati fra le provincie di Padova, Vicenza e Verona ed emersa – ricordiamo – soprattutto per merito dell’ISDE che ha di recente pubblicato un accurato Position Paper sulla questione ( https://www.isde.it/pubblicato-il-position-paper-di-isde-sulle-pfas/) Al momento sono coinvolte circa 300.000 persone ma si stima che in tempi non lontani riguarderà ben 800.000 cittadini; oltre al Veneto anche la Toscana, già ora, non è indenne dal problema se pur, fortunatamente, in modo nettamente minore. Come sempre tuttavia andiamo con ordine capendo cosa sono i PFAS, cosa fanno e soprattutto se e come possiamo difenderci.
PFAS: cosa sono?
Le PFAS sono un gruppo eterogeneo di oltre 4.700 sostanze chimiche artificiali formate da una catena di atomi di carbonio di lunghezza variabile, nella quale gli atomi di idrogeno legati agli atomi di carbonio sono tutti sostituiti da fluoro; un gruppo funzionale carbossilico (COOH) o sulfonico (SOH) è presente a una delle estremità e condiziona alcune delle principali proprietà chimico-fisiche delle PFAS [1]. I composti più noti della famiglia hanno entrambi otto atomi di carbonio e sono l’acido perfluorottanoico (PFOA) e l’acido perfluorottansulfonico (PFOS), rispettivamente con un gruppo carbossilico e solfonico.
Le PFAS sono molecole “eterne”, così definite dalla 3M, la multinazionale americana che le brevettò e in grado – come disse Robert Plunkett, lo “scopritore per caso” del politetrafluoroetilene (PTFE) – di condizionare ogni aspetto della vita moderna: dall’arte culinaria alla scienza missilistica! In effetti sono state utilizzate in lubrificanti, detersivi, adesivi, pesticidi, coloranti, prodotti per la pulizia personale e della casa, impermeabilizzazione di pelli e tessuti, plastificanti, ritardanti di fiamma, schiume antincendio, solventi, antidetonanti, scioline, contenitori per alimenti [2–4].
Le applicazioni commerciali più note sono il rivestimento antiaderente per le pentole da cucina (Teflon®) e la fabbricazione di indumenti impermeabilizzati e traspiranti (Gore-Tex®). Le PFAS sono classificate come molecole PBT (Persistenti, Bioaccumulabili, Tossiche) e grazie alla loro elevata stabilità termica, chimica, fisica e idrosolubilità si ritrovano in tutte le matrici ambientali, nella catena alimentare, in tutti gli animali selvatici e in tutte le popolazioni finora esaminati nei diversi continenti.
In Europa e negli Stati Uniti non sono stati adottati limiti nell’acqua potabile legalmente validi per le PFAS. L’USEPA raccomanda dei limiti nell’acqua potabile per PFOA di 70 ng/litro, limite da non superare nemmeno quando nella stessa acqua è presente anche il PFOS. Nel gennaio 2014, dopo la scoperta di un’importante contaminazione delle acque superficiali, sotterranee e potabili in una vasta area del Veneto, l’Istituto Superiore di Sanità ha consigliato come limiti “obiettivo” o di “performance” da non superare 30 ng/litro per PFOS; 500 ng/litro per il PFOA e 500 ng litro per il PFOS. Nell’ottobre del 2017 la Regione Veneto ha modificato questi limiti a 90 ng/litro per PFOA e PFOS combinati e a 300 ng/L per le altre PFAS.
PFAS e salute umana
Le più importanti vie d’esposizione alle PFAS per la popolazione generale sono l’acqua potabile, i cibi contaminati e la polvere di casa. Al pari di altre molecole persistenti, quali ad esempio le diossine, rimangono a lungo nei nostri corpi avendo tempi di dimezzamento variabili da 3,5 a 8,5 anni.
Le PFAS viaggiano nel nostro sangue legate alle proteine, in particolare all’albumina e si distribuiscono elettivamente nel fegato, nei reni, nei polmoni, nel cervello, nei muscoli e nelle ossa [5]. Il legame delle PFAS con l’albumina è quello che più può interferire con la salute umana, l’albumina infatti funziona come un “taxi” adibito al trasporto di ormoni, specie quelli tiroidei ed è ovvio che la presenza di “passeggeri indesiderati” come le PFAS finisce per alterare il normale equilibrio ormonale.
Queste sostanze rientrano fra gli “interferenti endocrini” (6) di cui già si è parlato ed è stata dimostrata la loro capacità di interferire anche con l’attività di estrogeni, androgeni e di alterare le membrane cellulari con conseguente stress ossidativo. Nel 2014 la InternationaI Agengy for Research on Cancer (IARC) di Lione ha classificato l’acido perfluorottanoico (PFOA) come possibile cancerogeno per gli esseri umani, inserendolo nel gruppo 2 B [7].
Cosa è successo in Veneto
In Veneto si è verificato, ed è tutt’ora in corso, uno degli episodi più gravi di contaminazione delle acque potabili da PFAS mai verificatosi al mondo. [8] Circa 300.000 persone, residenti in una sessantina di Comuni di tre province della regione, sono state esposte per oltre cinquant’anni a queste sostanze ingerendole con l’acqua contaminata e con gli alimenti prodotti con acque superficiali e/o prelevate dalle falde profonde. La contaminazione fu scoperta dall’IRSA-CNR che negli anni 2011-2013, su incarico del Ministero dell’Ambiente, dimostrò la presenza di PFAS lungo l’Asta del fiume Po e altri fiumi della Toscana, del Veneto e del Lazio (9).
Questa indagine fu avviata in seguito a due indagini: lo studio PERFORCE che aveva evidenziato come il fiume Po fosse il più contaminato da PFOA fra tutti i fiumi e i laghi europei e lo studio PERFOOD che aveva dimostrato la presenza di PFAS nel 15% circa degli alimenti esaminati.
Il fiume Po è gravemente contaminato da PFAS in quanto in esso scarica da decenni la Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria), una delle principali produttrici mondiali di fluoropolimeri, che comprava PFOA e altre PFAS come intermedi del suo ciclo produttivo dalla MITENI SpA, una multinazionale con impianti produttivi a Trissino (VI). Proprio la MITENI è stata identificata come la principale responsabile della contaminazione in Veneto; infatti, secondo l’ARPAV, questa industria era responsabile per il 97% dei 5 kg di PFAS che quotidianamente e per decenni sono stati sversati nel sistema idrico del bacino Agno-Fratta-Gorzone che confluisce nel fiume Brenta poco prima del suo sbocco nell’Adriatico.
Oggi la MITENI non esiste più, avendo dichiarato autofallimento, e il 10 giugno 2019 brevetti e parte dei macchinari sono stati acquistati da una multinazionale indiana.
Per capire quali potevano essere state le ricadute sanitarie sulla popolazione esposta, ISDE, in collaborazione con ENEA, condusse uno studio ecologico retrospettivo [8] analizzando le cause di morte dal 1980 al 2011 in una popolazione di circa 150.000 persone residenti nei Comuni i cui acquedotti, nell’estate del 2013 – prima dell’applicazione di filtri a carbone attivo – contenevano PFAS in concentrazioni superiori ai limiti di performance in seguito individuati dal Ministero per la Salute. In breve, rispetto a una popolazione di controllo della regione veneta non esposta a PFAS con l’acqua potabile, è emerso in entrambi i sessi un eccesso di mortalità per diabete, malattie cerebrovascolari, infarto del miocardio e malattie di Alzheimer, con incrementi percentuali variabili dal 10 al 25% circa.
In seguito alla pubblicazione di questo studio, il Servizio epidemiologico regionale (SER) Veneto e altre istituzioni hanno condotto diversi studi, mai pubblicati su riviste peer-reviewed, che hanno confermato nella zona più inquinata un eccesso di mortalità per le stesse malattie già identificate dall’indagine ISDE, ma anche un aumento della prevalenza di ipercolesterolemia, malattie alla tiroide e, negli anni 1997- 2014, un eccesso significativo (+84%) di orchiectomie per cancro del testicolo a Lonigo (VI) rispetto ai Comuni vicini. Nel 2013 Lonigo aveva le più elevate concentrazioni di PFAS nell’acqua e ha anche i livelli medi più elevati nel siero di PFOA. Sempre nella zona rossa è stato osservato un eccesso di diabete gestazionale e preeclampsia e un eccesso di nati con bassissimo peso alla nascita (<1.000 grammi), di anomalie cromosomiche e di malformazioni a carico soprattutto del sistema nervoso e dell’apparato cardiovascolare.
La situazione in Toscana
Secondo lo studio dell’IRSA-CNR, oltre al Po e al bacino del Brenta in Veneto, concentrazioni significative di PFAS sono presenti in Toscana, nel bacino del fiume Arno, mentre il Tevere e l’Adige non hanno quantità rilevabili al di sopra di quella che è considerata la contaminazione di fondo [9].
Il fiume Arno nel suo tratto iniziale è scarsamente contaminato e paragonabile all’Adige e al Tevere. Le concentrazioni di perfluorurati aumentano però dopo la confluenza degli scarichi della città di Firenze, ma soprattutto dopo l’immissione del fiume Ombrone, che attraversa la zona di Prato e raccoglie gli scarichi delle industrie tessili, carichi di perfluorocarbossilato a 5 atomi di carbonio (PFPeA), veicolandoli nell’Arno [10].
Le stazioni campionate a valle dell’Ombrone presentano concentrazioni significative di PFPeA pari a centinaia di ng/L, paragonabili alle concentrazioni misurabili in fiumi del Veneto a valle di reflui fognari di depurazione (ad esempio il fiume Fratta-Gorzone a valle del collettore consortile ARICA) [9]. In dettaglio le concentrazioni di PFPeA o acido perfluoropentanoico raggiungono, rispettivamente, un massimo di 434 ng/L e 469 ng/L a valle dell’Ombrone e a S. Croce sull’Arno. Qui sono registrate le concentrazioni più elevate di PFOA pari a 11 ng/L, mentre le altre PFAS sono non rilevabili o presentano valori comparabili a quelli del Tevere e dell’Adige.
Per quanto riguarda l’acqua potabile i risultati dello studio tratteggiano uno scenario al momento “rassicurante” in Toscana in quanto – pur in virtù della scarsità dei campionamenti eseguiti dall’ARPAT – non si evidenziano valori superiori ai limiti di rilevabilità [10].
Conclusioni
Le PFAS, inquinanti ambientali persistenti, sono state disperse globalmente nell’aria, nelle acque, nel suolo e, grazie alla loro scarsa o nulla biodegradabilità, si bioaccumulano nella flora, nella fauna selvatica e negli esseri umani. Numerosi studi hanno confermato la pericolosità e la tossicità delle PFAS, intese come categoria, sia per l’ambiente che per la salute umana. Uno degli aspetti più inquietanti è che le stesse patologie riscontrate nelle popolazioni esposte a elevate concentrazioni di PFAS per motivi professionali, o per aver bevuto per decenni acqua “potabile” inquinata da scarichi industriali, sono associate alle basse concentrazioni ematiche di PFAS presenti oramai anche in oltre il 95% della popolazione generale residente a migliaia di chilometri dai siti di produzione di tali molecole.
Ancora una volta conoscenza e consapevolezza dei rischi connessi all’uso di tali sostanze non sono andati di pari passo e anche le PFAS andranno aggiunte al già fin troppo lungo elenco delle “Lezioni imparate in ritardo da pericoli conosciuti in anticipo” (11).
Bibliografia
1. OECD Portal on Per and Poly Fluorinated Chemicals – OECD Portal on Per and Poly Fluorinated Chemicals [Internet]. 2018 [cited 2017 Nov 20]. Available from: http://www.oecd.org/chemicalsafety/portal-perfluorinated-chemicals/
2. Buck RC, Franklin J, Berger U, Conder JM, Cousins IT, de Voogt P, Jensen AA, Kannan K, Mabury SA, van Leeuwen SP. Perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances in the environment: Terminology, classification, and origins. Integr Environ Assess Manag [Internet]. 2011 [cited 2017 Nov 18]; 7: 513–41. Available from: http://doi.wiley.com/10.1002/ieam.258
3. Cordiano V, Bertola F, Cavasin. Position Paper ISDE su Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) [Internet]. 2019 [cited 2019 Jun 15]. Available from: https://www.isde.it/wp-content/uploads/2019/05/2019.04.09-Position-Paper-PFAS.pdf
4. Post GB, Cohn PD, Cooper KR. Perfluorooctanoic acid (PFOA), an emerging drinking water contaminant: A critical review of recent literature. Environ Res [Internet]. 2012 [cited 2017 Nov 15]; 116: 93–117. Available from: http://linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S0013935112000904
5. Pérez F, Nadal M, Navarro-Ortega A, Fàbrega F, Domingo JL, Barceló D, Farré M. Accumulation of perfluoroalkyl substances in human tissues. Environ Int [Internet]. 2013 [cited 2017 Nov 15]; 59: 354–62. Available from: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412013001220
6. White SS, Fenton SE, Hines EP. Endocrine disrupting properties of perfluorooctanoic acid. J Steroid Biochem Mol Biol. 2011; 127: 16–26.
7. Benbrahim-Tallaa L, Lauby-Secretan B, Loomis D, Guyton KZ, Grosse Y, Ghissassi FE, Bouvard V, Guha N, Mattock H, Straif K. Carcinogenicity of perfluorooctanoic acid, tetrafluoroethylene, dichloromethane, 1,2-dichloropropane, and 1,3-propane sultone. Lancet Oncol [Internet]. 2014 [cited 2017 Nov 15]; 15: 924–5. Available from: http://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045(14)70316-X/abstract
8. Cordiano V, Storti M, Bai E, Crosignani P. Inquinamento delle falde acquifere da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto: un nuovo caso Seveso? Epidemiol Prev [Internet]. 2017 [cited 2019 May 6]; 41: 148–148. Available from: http://doi.org/10.19191/EP17.3-4.P148.038
9. Rosignoli F, Mazzoni M, Fumagalli A, Bardine S. Stefano Polesello (IRSA-CNR, Brugherio) Romano Pagnotta (IRSA-CNR, Roma) Laura Marziali (IRSA-CNR, Brugherio) Luisa Patrolecco (IRSA-CNR, Roma) Marianna Rusconi (IRSA-CNR, Brugherio) Fabrizio Stefani (IRSA-CNR, Brugherio) Sara Valsecchi (IRSA-CNR, Brugherio). : 351.
10. Sostanze organiche perfluorurate in Toscana: attività ARPAT — ARPAT – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana [Internet]. [cited 2019 Jun 15]. Available from: http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2017/153-17/sostanze-organiche-perfluorurate-in-toscana-attivita-arpat
11. http://www.eea.europa.eu/publications/late-lessons-2
Sono Piccoli Michela una mamma no pfas del Veneto, ho urgenza di parlare con qualche comitato no pfas della Toscana. Il mio numero è :349 4323501