Milioni di esseri viventi, soprattutto falene, muoiono schiacciati, folgorati, bruciati a causa dell’inquinamento luminoso. Tutto questo per attrarre turisti.
di Valentino Valentini
14 giugno 2023
Nella tarda serata del 14 agosto di qualche anno fa la musica dei Modena City Ramblers, nell’ambito dell’ennesima edizione di “EtnoPollino”, si diffondeva assordante nella vallata, solo qualche ora prima immersa nel silenzioso sole del Parco: penetrando nelle case, negli ostelli, sbattendo contro i fianchi silenti delle montagne, entrando di prepotenza nelle tane degli animali, insinuandosi tra le fronde degli alberi, proprio quegli alberi sui quali gli uccelli di quell’oasi “protetta” avrebbero potuto dormire sonni tranquilli.
Ma ai festaioli, accorsi numerosi per sentir musica e far bisboccia, tali problemi non s’erano affacciati neanche all’anticamera del cervello: non lo dice anche la Bibbia che l’uomo ha potere sovrano “su tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo?”; per cui che importa, purché ci si diverta, si ascolti musica e ci si riempia il pancino! Solo, in mezzo a tutta quella baraonda, avevo alzato gli occhi del cuore agli alati ma inconsapevoli invertebrati del Parco Nazionale del Pollino, attratti irresistibilmente da uno dei più diffusi e insidiosi effetti inquinanti prodotti dall’uomo: l’inquinamento luminoso, intendo.
Solo. Perché quella sera del 14 agosto, come in tante altre luminescenti serate del nostro mondo antropizzato, una piccola, insignificante, del tutto trascurabile ecatombe d’insetti, soprattutto falene, si stava consumando sopra i nostri occhi distratti dalle luci guizzanti e colorate, sulle nostre teste totalmente prese dal cibo e dalla musica. Di tutta quella musica era dunque questa la partitura stonata di cui nessuno sembrava essersi accorto: tanti esseri viventi, tra i quali alcuni anche rari ed endemici, stavano morendo contusi, schiacciati, folgorati, bruciati, oppure, se preferite, ingoiati d’un sol boccone da pipistrelli che intorno alle luci solitamente fanno un gran banchettare.
Abbiamo più volte avuto occasione di notare che i nostri politici non sono poi degli ecologisti né naturalisti illuminati (anche se molto spesso di luci e lampioni, di fari e faretti ne mettono in quantità esorbitante, passare con l’auto alle 2.30 di notte dal lungomare di Taranto senza che vi sia anima viva, con centinaia di lampioni ancora accesi, è stato veramente sconsolante…), ma stiamo parlando di fatti che di anno in anno accadono in un Parco nazionale, per cui lo sviluppo del turismo non può essere aprioristico rispetto all’assoluta necessità di preservare l’ambiente naturale, territorio, piante e animali.
Con mai sopita preoccupazione dobbiamo registrare che vi è ancora nell’uomo una profonda, incurabile ambiguità: tutto ciò che fa, ancor oggi, risulta poi in contrasto col concetto di Natura vergine, nonostante il fatto che egli stesso ne faccia parte integrante e dipenda da essa per la sua stessa sopravvivenza. Da un lato oggi è sufficientemente informato del fatto che dovrebbe preservare la Natura in tutta la sua varietà e ricchezza (Direttive UE docent), ma poi è costretto in linea di massima a imbrigliarla per assoggettarla ai suoi interessi e ai suoi smisurati bisogni, socio-economici o politici che siano.
Ha ragione Franco Tassi quando scrive che il segreto del giusto rapporto tra l’uomo e il suo ambiente sta tutto racchiuso nella mente umana, nella riscoperta di quel valore assoluto costituito da “Gaia”, questo nostro splendido Pianeta, nostra vera Madre e generosa dimora di tutti noi: una dimora che dovremmo, oggi in tutta fretta, imparare a salvaguardare e proteggere, adottando un’etica fondata sull’amore e sul rispetto di tutte le forma di vita, anche di quelle che volano impazzite perché fatalmente attratte dal firmamento abbagliante di luci che servono solo a rischiarare la vita notturna degli uomini.
Molti autori a proposito della potente forza attrattiva che spinge falene e altri insetti contro le numerose fonti luminose artificiali, spesso inutili o eccessive, parlano in genere di “fototropismo positivo”; il compianto professor Emilio Berio invece considerava del tutto improbabile l’ipotesi del tropismo perché “contrario a qualsiasi risultato utile”. Le falene infatti si sono adattate in milioni di anni a compiere tranquillamente le loro funzioni vitali (nutrirsi, accoppiarsi, impollinare) di notte, alla luce delle stelle e della luna, in uno con l’alternarsi di fasi astrali e nuvolosità.
Alla stregua di ciò, per l’entomologo Peter Farb una falena che sbatte contro la luce di un lampione non è che ne venga attratta, quanto “reagisce semplicemente a uno stimolo”. Molto, molto tempo prima che le luci artificiali dilagassero ovunque, compiendo così stragi inutili e dannose per gli ecosistemi, le falene avevano sempre utilizzato due “fari” naturali, il sole e la luna: premesso che è pacifico che i raggi luminosi che provengono da astri tanto lontani giungano alla terra paralleli la nostra falena, volando, potrà così guadagnare un normale percorso rettilineo, orientato cioè da quei raggi che colpiscono il suo occhio sempre col medesimo angolo.
Ma quando la nostra povera falena di notte cerca di utilizzare una sorgente luminosa vicina – e stiamo parlando delle numerose luci artificiali presenti persino in aree protette – a causa del predetto adattamento evolutivo volerà in modo che i raggi della sorgente luminosa colpiscano il suo occhio con un angolo di 80 gradi: ma così facendo e in conseguenza della vicinanza della fonte luminosa, “essa seguirà un volo a spirale, invece che rettilineo, che la porta fatalmente alla morte” (Farb, 1968).
Mie care falene, diletto prezioso di una vita da naturalista, se solo aveste saputo che animale pericoloso è questo bipede che sovente si diverte, gonfio d’egoismo, diffondendo luci nocive per la vita e per l’ambiente, penso sareste rimaste nella tranquilla oscurità dei vostri boschi, con la magica luna e le splendide stelle a rischiararvi la via. O che sareste fuggite lontano da noi, molto lontano. Forse anche verso un altro pianeta.
N. B: desidero dedicare questa mia nota all’amico professor Franco Tassi, naturalista e scrittore che di più non si può.
Valentino Valentini, di Taranto, è residente a Martina Franca (TA). È un entomologo divulgazionista con una lunga esperienza di ricerca microfaunistica svolta soprattutto nelle estreme regioni meridionali d’Italia.
Laureato in Giurisprudenza, è stato addetto all’Ufficio legale di un istituto di credito.
Ha istituito in San Severino Lucano (PZ) – Parco Nazionale del Pollino – il Museo Laboratorio della Fauna Minore per una maggiore conoscenza delle piccole faune del Meridione d’Italia. Come naturalista ha pubblicato diversi saggi, da solo o con altri autori, e collabora con quotidiani e periodici, nazionali e locali, con articoli scientifici e divulgativi di argomento naturalistico.
Ha fondato nella sua città il “Comitato per il rimboschimento di Taranto” ed è stato cofondatore del “Comitato nazionale per gli Alberi e il Paesaggio”. È stato responsabile della sezione di Taranto del WWF ed è socio della Società Entomologica Italiana, dell’Associazione romana di Entomologia e di Italia Nostra.
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