La transizione ecologica è impossibile senza una nuova agricoltura contadina. L’Ue sussidia l’agricoltura industriale che è la principale responsabile dell’attuale deriva.
di Giannozzo Pucci, ecologista e fondatore di Libreria Editrice Fiorentina
1 febbraio 2024
FIRENZE – Quelli che reagiscono senza una strategia di uscita da questo sistema di produzione e distribuzione continuano a dipendere da ciò contro cui reagiscono. Gli spazi di libertà continuano a restringersi senza essere utilizzati per cambiare e aprire a nuove esperienze. È quello che sta succedendo con i trattori in Europa e in Italia. Cosa vorrebbero gli agricoltori, che tornassero o aumentassero i contributi? Perché non ammettono che senza contributi la loro agricoltura è largamente in passivo anche se si serve di grandi trattori, petrolio, glifosate, pesticidi e delle banche.
Per non parlare poi degli allevamenti industriali, degli altri inquinamenti, degli animali devastati e cresciuti come fossero macchine, della distribuzione organizzata attraverso prezzi sempre più bassi, degli alimenti poco salutari, dell’inquinamento di terra, aria, clima e dei contributi pubblici che servono per tenere in piedi questa ruota devastante. Si reagisce per mancanza di contributi, non per uscire da questa ruota scegliendo un altro genere di agricoltura, quella dei mercati locali e delle comunità.
Il contadino fa parte di una comunità e produce per una comunità che conosce mentre l’agricoltura industriale produce per fare soldi, non con il fine di produrre cibo per la comunità. La vera agricoltura paesana non inquina e chi produce trova i mezzi che gli servono attraverso la comunità. La transizione ecologica, sia materiale che culturale, comincia anche con l’aumento dei contadini ecologici. Questa espressione comprende tutte le forme di coltivazione che non dipendono dall’industria e non usano mezzi inquinanti ma operano bonificando la terra: la permacoltura, l’agricoltura biodinamica, biologica, naturale, sinergica e sintropica.
L’Unione europea destina una parte consistente del suo bilancio ai sussidi perché l’agricoltura industriale è un mercato importante per l’industria. L’agricoltura industriale distrugge la presenza umana nelle campagne in nome dell’efficienza, del progresso, della scientificità, con l’aumento della dimensione delle aziende, del loro indebitamento, dell’inquinamento, le continue modifiche tecnologiche fino alla frontiera della sostituzione della terra con le industrie, dalle farine di insetti alla carne e al latte prodotti chimicamente.
La transizione ecologica è impossibile materialmente e culturalmente senza una nuova agricoltura contadina, senza la ricostruzione delle comunità rurali su nuove basi come avamposti di un diverso modo di vivere, di una reale economia che abbandoni l’attuale macchina di saccheggio della terra che trasforma i fondamenti ecologici della vita in denaro e rifiuti. Negli ultimi decenni molte delle tecniche agricole applicate sono nate in alternativa ai danni dell’agricoltura industriale: dalla biodinamica alle varie scuole di agricoltura biologica, naturale, rigenerativa, sintropica, alla permacoltura e alle varie combinazioni fra esse. Dovremmo rivendicare semmai, ad esempio, che un minimo di alimenti ecologici, chiave della salute, fossero forniti a tutti, almeno nelle minime quantità, dalle ASL, fuori dalla logica dei profitti per le industrie, e su questo stimolare la partecipazione non solo dei contadini ma anche dei cittadini.
Giannozzo Pucci è stato fra gli iniziatori del movimento antinucleare in Italia. Ha fondato il primo mercato contadino senza veleni del nostro Paese, “La Fierucola”, e ha partecipato alla fondazione della Federazione delle Liste Verdi. Si è occupato di agricoltura contadina, di acque, di urbanistica, di scuola, trasporti elettrici e guida la Libreria Editrice Fiorentina dal 2004.
Bravissimo Giannozzo, ora serve ripartire. Come 40 anni fa con i primi movimenti del biologico, oggi con una nuova agricoltura, attraverso l’agroecologia, il territorio, la comunità. Non più agricoltori tra loro ma stavolta con i cittadini, con le comunità. Ripartire vuol dire proprio partire di nuovo, da zero. Nuove forme aggregative, nuovi messaggi, nuove alleanze. Sappiamo che ci divideremo sui dettagli, ma ci ritroveremo sul messaggio finale, Perderemo per strada dei pezzi, ne troveremo altri. Importante è ri iniziare. Oggi stiamo perdendo tanti contadini che sono saliti sui trattori per distruggere le politche ambientali, ma domani, schiacciati dall’agroindustria che stanno liberalizzando anche grazie alla loro protesta, potrebbero essere proprio loro il motore di una nuova agricoltura locale, agroecologica,
Concordo pienamente con Giannozzo, ma aggiungo che l’obiettivo più importante oggi è proteggere l’agricoltura contadina e le piccole aziende, al di là di cosa fanno, dato che il piano globalista in atto è quello di farle scomparire tutte.
Il modello di agricoltura industriale che i filantropi stanno proponendo in tutto il mondo, a base di robotica e digitalizzazione spinta, con l’ uso scriteriato degli OGM che si vuole imporre e dei pesticidi di sintesi ormai smerciati contro ogni legge (nazionale ed unionale) avvantaggia solo gli squallidi interessi di coloro (personaggi o società finanziarie) che, per non farsi capire dai semplici, vengono definiti “stakeholders” con la inequivocabile complicità e le basse manovre di chi governa, sempre e solo a vantaggio delle grandi aziende della collaudata agricoltura di rapina (di fertilità del terreno e di etica), che si lasciano quotare in borsa finanziate dai grandi fondi di investimento.
Se il movimento non capisce chi e cosa ha di fronte rischia di fare un buco nell’acqua ormai inquinata e in una farina di grilli che viene utilizzata, come la carne sintetica, da specchio per le allodole.