La denuncia dell’associazione L’Assiolo: “Nemmeno la pandemia ferma gli inquinatori. Sono oltre trent’anni che questi rifiuti raggiungono il mare e nessuno fa niente”.
di Gabriella Congedo
MASSA CARRARA – Mentre tutto il pianeta deve fare i conti con un virus letale, nel territorio di Massa Carrara si continua allegramente a inquinare. Se da una parte si accendono fuochi illegali che provocano fumi tossici e pericolosi, dall’altra il fiume Frigido diventa ancora una volta bianco di marmettola, la micidiale fanghiglia prodotta da scarti di lavorazione del marmo e acqua che cementifica gli alvei, soffoca i fiumi e finisce in mare; e poi c’è il fosso Lavello ridotto da anni a essere un collettore di rifiuti, nonostante i numerosi sopralluoghi e le promesse.
A denunciare con forza questa situazione è Gianluca Giannelli, ambientalista di lungo corso. Giannelli, oltre che vice presidente del WWF Alta Toscana Onlus, è il presidente dell’associazione L’Assiolo che, tra le altre cose, collabora con il WWF Italia nella gestione di aree protette e centri di recupero per animali.
Il degrado in cui versa il fosso Lavello è stato segnalato più volte, ma finora senza risultato. “Sono oltre trent’anni che questi rifiuti raggiungono il Mediterraneo – è l’amara constatazione di Giannelli – e che nessuna delle autorità si decide a porre fine a questo attentato alla salute pubblica e alla distruzione dell’habitat marino. Anche se ogni tanto qualcuno riesce a portar via questa indecenza la permanenza dei rifiuti in acqua per settimane è comunque vettore di inquinamento”.
Il Lavello non è un corso d’acqua naturale ma un fosso di bonifica, pertanto non è classificato dalla Regione Toscana tra i corpi idrici rappresentativi e non viene monitorato periodicamente. Non è alimentato da nessuna sorgente e l’acqua proviene in gran parte dagli scarichi di due depuratori.
Nel fosso, spiega Arpat, scaricano anche una parte delle fognature bianche delle zone industriali di Massa e di Carrara. La stessa Arpat non esclude la presenza di scarichi domestici non trattati provenienti da aree residenziali lungo il fosso. Insomma la situazione ecologica del Lavello non è certo ottimale.
Ma a peggiorare le cose ci sono due campi nomadi, uno regolare e l’altro abusivo, di fronte ai quali, per citare ancora Arpat, “persiste una situazione di degrado e sporcizia che contribuisce all’inquinamento del fosso”. E che le foto scattate dallo stesso Giannelli documentano in maniera eloquente.
“Dovremmo vergognarci di vivere in un territorio che abbiamo portato a essere un malato terminale – conclude Giannelli – Siamo tutti colpevoli, sia chi inquina, sia chi mette la testa sotto la sabbia, visto che girarla da un’altra parte è difficile: da qualunque parte si guardi è tutto uno squallore”.
Speriamo che qualcuno finalmente lo ascolti.
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