Il dossier annuale Stop Pesticidi: sempre elevata la quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, ma il vero pericolo è il multiresiduo.
Si chiamano Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone: sono i pesticidi più diffusi negli alimenti in Italia. Si tratta di fungicidi e insetticidi usati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra salute e quella dell’ambiente. E mentre i consumatori chiedono prodotti sempre più sani e sostenibili il business dell’agricoltura intensiva non vuole cedere il passo.
L’edizione 2020 del dossier Stop Pesticidi di Legambiente, redatto in collaborazione con Alce Nero, fotografa una situazione che vede risultare regolare e privo di residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Il dossier riporta i dati elaborati nel 2019 dai laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti.
Analizzando nel dettaglio i dati negativi si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi.
Il vero pericolo: il multiresiduo
La quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, che i laboratori pubblici regionali hanno rintracciato in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati, resta elevata. Ma il vero problema, sottolinea Legambiente, è il multiresiduo, che la legislazione europea non considera come non conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito. Anche se è noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti comulativi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano.
Il multiresiduo è più frequente del monoresiduo: è stato ritrovato nel 27,6% del totale dei campioni analizzati rispetto al 17,3% dei campioni con un solo residuo.
La chimica nel piatto
Come negli anni precedenti, la frutta è la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari multiresiduo. A essere privo di residui di pesticidi è solo il 28,5% dei campioni analizzati, l’1,3% è irregolare e oltre il 70%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più residui chimici.
L’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo. Alcuni campioni di pere presentano fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione analoga per il pompelmo rosso e per le bacche di goji che raggiungono quota 10 residui.
Diverso il quadro per la verdura: se, da una parte, si registra un incoraggiante 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro fanno preoccupare le percentuali di irregolarità in alcuni prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il 6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi.
Gran parte delle irregolarità dipende dal superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi (54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’impiego di sostanze non consentite (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono presenti entrambe le circostanze.
Le sostanze attive che più hanno determinato irregolarità sono l’organofosforico Chlorpyrifos nell’11% dei casi e il neonicotinoide Acetamiprid nell’8%. Altro dato da sottolineare è la presenza di oltre 165 sostanze attive nei campioni analizzati. L’uva da tavola e i pomodori ne contengono la maggior varietà rispettivamente con 51 e 65 miscele differenti.
“Occorre diminuire drasticamente l’impiego delle molecole di sintesi in ambito agricolo – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Si pensi alla questione del glifosato, l’erbicida consentito fino al 2022 nonostante il 48% degli Stati membri dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità; l’Italia inizi con il metterlo al bando. Per diminuire la chimica che ci arriva nel piatto è necessario anche adeguare la normativa sull’uso dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.
Fonte: Legambiente
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