L’associazione ambientalista: “Ha la certificazione solo il 15% delle cave, non tutte, come sostiene Confindustria Massa Carrara. Basta consultare le banche dati su Internet”.
MASSA CARRARA – Non è vero che tutte le cave sono dotate di certificazione ambientale, come afferma perentoriamente Confindustria. Ad essere certificato in realtà è solo il 15%, 11 cave sulle 73 attive. Per averne la prova basta consultare le banche dati di Ispra e Accredia – gli enti certificatori – liberamente accessibili su internet.
Con il seguente comunicato Legambiente Carrara smentisce seccamente le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi a mezzo stampa dagli imprenditori del marmo.
Come Legambiente abbiamo sempre dato molta importanza alle norme volontarie che regolano i sistemi di gestione ambientale e di Salute e sicurezza sul lavoro. Sono le cosiddette norme “UNI”, in particolare la 14001 o la registrazione EMAS per l’Ambiente e la 18001 o 45001 per la Sicurezza.
Si tratta di regole che le aziende si impegnano ad attuare per ridurre gli impatti ambientali o i rischi per i lavoratori dovuti alle proprie attività, a definire programmi di miglioramento continuo e a tenere in considerazione i diversi stakeholder, le parti interessate anche esterne all’organizzazione.
Siamo stati ben felici, quindi, di leggere quanto afferma Confindustria Massa-Carrara nella sua pagina a pagamento sulla stampa del 23 ottobre e negli articoli poi ripresi dalle cronache locali domenica 25: «è un dato di fatto che oggi tutte le imprese lapidee sia al monte che al piano siano dotate di certificazioni ambientali e di sicurezza. Certificazioni date da enti terzi che si ottengono solo a fronte di dati certi e misure concrete».
Un “dato di fatto” importantissimo che, però, tanto “dato di fatto” non è. Per conoscere la realtà, infatti, basta consultare le banche dati di ISPRA (che provvede alle registrazioni Emas) e di ACCREDIA (l’ente che rilascia i certificati 14001 e 45001). Si scopre così che il vero dato di fatto è che solo 11 cave, delle 73 attive, risultano registrate o certificate con norme ambientali (una ha solo la certificazione Salute e sicurezza) e che le aziende sono in totale 15: tre imprese, infatti, hanno certificato unicamente i siti di trasformazione e le sedi legali ma non le cave.
In sintesi, solo il 15% delle cave è dotato di certificazioni ambientali: Confindustria ammetterà dunque d’aver un po’ esagerato affermando che lo sono tutte.
Non riusciamo a comprendere come si possa iniziare con un perentorio «è legittimo manifestare, ma basta con le bugie contro chi fa impresa» e incorrere poi in una così marchiana e forse non del tutto involontaria inesattezza. I certificati (si possono consultare liberamente su internet) indicano chiaramente non solo le imprese ma anche i siti specifici verificati. E la realtà è quella che abbiamo scritto. È così sicura Confindustria di poter affermare che sono gli altri a “dire bugie”?
Ma non è solo questo il punto: per EMAS e 14001 non è sufficiente dimostrare di “essere a norma”. La cosiddetta “conformità normativa” è solo un presupposto – indispensabile – ma non è tutto: lo spirito delle norme volontarie è quello di darsi programmi, obiettivi e traguardi di miglioramento continuo, di comunicare anche all’esterno le proprie performance ambientali e di tenere conto –sempre– del “contesto” in cui le organizzazioni operano e degli interessi diffusi di tutte le parti interessate, comprese tutte le associazioni, movimenti, istanze della collettività.
Quando invoca «un confronto sul tema delle cave, corretto, franco e soprattutto onesto verso l’opinione pubblica», Confindustria intende forse impegnarsi a far pubblicare alle proprie associate certificate i dati relativi ai loro impatti ambientali significativi e ai loro programmi di miglioramento e non la sola “dichiarazione ambientale”? Ne saremmo lieti e ci impegniamo fin d’ora, come stakeholder, a esprimere il nostro contributo tecnico sui loro pregi e limiti.
Legambiente Carrara
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