Inquinamento

La marmettola continua a inquinare le acque delle Apuane, ambientalisti sul piede di guerra

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Carrara, confluenza tra il fiume Carrione e il torrente Granana (archivio Grig)

Un gruppo di associazioni ha presentato istanza di accesso civico: “Fenomeni illeciti fin troppo tollerati, chi inquina deve pagare”. 

 

di Iacopo Ricci
6 giugno 2023

MASSA CARRARA – Il bianco che dopo qualche giorno di pioggia intorbida fiumi e sorgenti, in particolare i bacini del Frigido e del Carrione, delle Apuane è dovuto agli sversamenti di marmettola, una fanghiglia che si crea dalla mescolanza tra scarti di lavorazione del marmo, terre di cava e acqua. Un miscuglio micidiale che cementifica gli alvei, occlude le branchie di pesci e invertebrati e forma uno strato impermeabile che soffoca ogni forma di vita.

Un problema ambientale ormai cronico ma spesso minimizzato e sottaciuto. A portarlo nuovamente alla ribalta un gruppo di associazioni e comitati ambientalisti (Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), Italia Nostra – Sez. Massa – Montignoso, Adic Toscana, Associazione Alberto Benetti, Comitato Acqua alla gola, La Pietra Vivente, Apuane Libere e C.A.I. – Sezione di Massa) che in questi giorni hanno inviato una “istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti” coinvolgendo la Commissione europea, i ministeri della Cultura e dell’Ambiente e Sicurezza energetica, la Regione Toscana, l’Ente Parco regionale delle Alpi Apuane, l’Arpat, i Carabinieri Forestale e del N.O.E., il Comune di Massa, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa.

La sistematica presenza della marmettola nelle falde e nei corsi d’acqua delle Apuane comporta rilevanti danni ambientali, forti problematiche sanitarie e ingenti danni economici” dicono le associazioni. E la causa non è da ricercare nel destino cinico e baro ma esclusivamente “nell’attività illecita rappresentata dagli scarichi abusivi dell’estrazione del marmo”.

I danni provocati dalla marmettola sulle acque destinate all’uso potabile nelle falde e nei corsi d’acqua delle Alpi Apuane sono noti da anni, studiati e monitorati dall’ARPAT e da vari gruppi di ricercatori. Le cause del disastro sono, evidentemente, di natura economica. Le cave dovrebbero smaltire gli scarti di lavorazione come rifiuti speciali ma spesso non lo fanno e li abbandonano nei piazzali, da dove poi la pioggia li trascina nei fiumi e infine in mare.

Ecco infatti cosa si legge sul sito di ARPAT alla voce “Marmettola”: Il quantitativo complessivo di marmettola desunto dalle dichiarazioni MUD (Modello Unico di Dichiarazione Ambientale, ndr) relative alle attività estrattive e di trasformazione dell’intero comprensorio Apuo-Versiliese è tale da rendere presumibile che un importante quantitativo di marmettola non venga gestito. Infatti il rifiuto marmettola – che deve essere raccolto all’origine per essere recuperato-trattato ovvero smaltito secondo quanto previsto nell’autorizzazione – non di rado e anche in ingenti quantità risulta abbandonato nell’area di cava e resta esposto all’azione degli agenti atmosferici generando un notevole impatto sull’ambiente, in particolare sulla risorsa idrica”.

Non si tratta dunque di una piaga biblica, accusano le associazioni, ma di fenomeni illeciti fin troppo tollerati in palese contrasto con gli obblighi comunitari e le normative nazionali sulla tutela delle acque destinate al consumo umano e la difesa degli habitat naturali. Le associazioni e i comitati ambientalisti si augurano che vi sia, una buona volta, “la dovuta attenzione e concrete attività da parte delle amministrazioni pubbliche competenti per la difesa della fondamentale risorsa idrica. Chi inquina deve pagare, sotto tutti gli aspetti”.

La sorgente del Frigido inquinata dalla marmettola (foto Alberto Grossi)
La sorgente del Frigido inquinata dalla marmettola (foto Alberto Grossi)