La marmettola, fanghiglia prodotta da scarti di marmo e acqua, è un miscuglio micidiale che soffoca i fiumi. Legambiente: inutili i controlli senza le sanzioni.
di Gabriella Congedo
MASSA CARRARA – Basta qualche giorno di pioggia e i fiumi delle Apuane diventano bianchi. È successo di recente anche al Carrione, che ha assunto una inquietante colorazione bianca con sfumature marrone. A Carrara e dintorni ormai ci sono abituati, quasi non ci fanno caso. Chi non vive a valle del più grande sito marmifero del mondo merita qualche spiegazione.
Il bianco che intorbida fiumi e sorgenti è dovuto agli sversamenti di marmettola, una fanghiglia che si crea dalla mescolanza tra scarti di lavorazione del marmo, terre di cava e acqua. Un miscuglio micidiale che cementifica gli alvei, distrugge i microhabitat, occlude le branchie di pesci e invertebrati, forma uno strato impermeabile che soffoca ogni forma di vita. Con un impatto sull’ecosistema fluviale superiore a quello degli scarichi fognari.
La marmettola arriva dalle cave, che abbandonano gli scarti di lavorazione nei piazzali. Da qui, con il dilavamento delle piogge, finisce nei fiumi e poi in mare. Fino agli anni Ottanta c’era l’abitudine di sversare direttamente nei corsi d’acqua, adesso è proibito, ma questa roba nei fiumi ci finisce lo stesso.
Trattandosi di un rifiuto speciale, la marmettola andrebbe stoccata e portata in apposite discariche. Ma lo fanno in pochi, ai titolari di cava deve apparire un onere insopportabile. Risultato: i piazzali e le loro pertinenze sono stracolmi.
Chi da anni non si stanca di denunciare quest’andazzo è Legambiente Carrara che ora, in un appello indirizzato a Comune, Arpat, Regione e Gaia (il gestore dei servizi idrici) mette a fuoco il cuore del problema: l’assoluta inadeguatezza delle misure preventive e repressive messe in atto dagli enti pubblici. “Anche il rilevante potenziamento del personale addetto ai controlli ambientali sulle cave – si legge nel documento – non ha scalfito il fenomeno, né mai potrà farlo, finché non si affronterà il nodo fondamentale: il rilascio di autorizzazioni prive di prescrizioni adeguate (equivalenti, di fatto, a licenze a inquinare) e la mancata previsione di sanzioni per le inadempienze, infatti, vanificano in partenza l’efficacia dei controlli stessi”.
Di fronte a tanta tolleranza verso comportamenti privi di scrupoli si sarebbe portati a pensare che “l’intero sistema pubblico di regolamentazione e controllo delle cave risponda a un disegno unitario ispirato dalla priorità di non arrecare disturbo agli imprenditori dell’estrazione”.
Contro chi abbandona marmettola e terre di cava nell’ambiente in realtà gli strumenti ci sarebbero: la sospensione dell’attività e, infine, il ritiro della concessione. Ma non vengono applicati. E anche le sanzioni pecuniarie sono irrisorie.
Le autorizzazioni rilasciate dal Comune di Carrara obbligano già ora a tenere pulite le superfici di cava. Visto però che in assenza di vere sanzioni la prescrizione rimane lettera morta, Legambiente ribadisce una vecchia proposta: l’ordinanza Cave pulite come uno specchio “che vieti marmettola e terre esposte al dilavamento meteorico, sia in cava che nelle vie d’arroccamento, accompagnata da sanzioni veramente dissuasive: sospensione dell’attività estrattiva fino al completo adeguamento e ritiro definitivo dell’autorizzazione in caso di recidiva”.
Bisogna scuotersi dal torpore, e questo vale sia per gli enti pubblici che per i cittadini, “la rassegnazione, spegnendo l’indignazione nei confronti di un’ingiustizia, è tra le peggiori malattie. Così, sebbene l’inquinamento da marmettola sia palese a tutti, molti ormai l’hanno accettato e, addirittura, non ne colgono più la gravità”.
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