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Foglie e licheni possono proteggere i monumenti dalle polveri sottili

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Secondo uno studio al quale ha partecipato l’Università di Siena le piante posizionate vicino alle sedi stradali proteggono i beni archeologici dal Pm.

 

Redazione
12 luglio 2024

SIENA – L’uso congiunto di foglie e licheni, abbinato a tecniche di analisi chimica e magnetica, permette di tracciare e quantificare gli inquinanti atmosferici, distinguendo le sorgenti emissive antropiche da quelle naturali. E’ quanto emerge da uno studio di un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del Parco Archeologico del Colosseo, dell’Università di Siena e dell’Accademia Nazionale dei Lincei.

Lo studio, che ha avuto luogo nell’area di via dei Cerchi e nelle aree archeologiche del Palatino a Roma, ha dimostrato che la concentrazione delle particelle metalliche bioaccumulate dai licheni e dalle foglie dipende dalla distanza longitudinale dalla strada. Pertanto, per fornire i migliori servizi ecosistemici di conservazione preventiva dei beni storici e culturali, gli alberi devono essere posizionati quanto più possibile vicino alla sede stradale.

Le polveri fini com’è noto creano strati scuri, abrasione e deterioramento nei beni culturali, con conseguente perdita artistica e danni permanenti. Le particelle metalliche veicolari accumulate da foglie e licheni derivano da una miscela di emissioni di scarico e di frenatura, dipendente, nelle proporzioni, dai diversi tipi di regime di traffico. I risultati hanno indicato che le foglie accumulano tutte le componenti del Pm, limitando così gli effetti avversi delle sue frazioni, siano esse atmosferiche o legate al suolo e alla risospensione, mentre i licheni sono i migliori bioindicatori della sola componente aerodispersa del Pm.

 “Questo progetto introduce le metodologie di biomonitoraggio magnetico in un’area archeologica di prestigio unico al mondo – dichiara Aldo Winkler, responsabile del Laboratorio di Paleomagnetismo dell’INGV – fornendo preziose indicazioni sulla capacità delle foglie, in funzione della specie e della collocazione degli alberi, di accumulare il particolato inquinante, contribuendo così a limitarne la diffusione e gli effetti nocivi sui beni culturali”.

I licheni, ancora una volta, si sono dimostrati bioindicatori efficienti, soprattutto se impiegati come trapianti, permettendo di delineare l’accumulo e la tipologia di particolato inquinante in funzione di un design sperimentale ad alta densità spaziale e personalizzabile in funzione del contesto d’indagine. Sono in corso, nel frattempo, ulteriori studi sul biomonitoraggio dell’inquinamento atmosferico nei musei di Buenos Aires, alla Cupola del Brunelleschi di Firenze e presso il Metropolitan Museum of Art (Met) di New York.

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