Ecosistema

‘Fiumi distrutti’ e ‘Fiumi in fumo’, due importanti dossier della Lipu da non dimenticare

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Fiume Tora a Livorno (foto di Fabio Cagliata dal dossier Fiumi distrutti)

Pubblicati nel 2018 ci ricordano che la vegetazione ripariale è un ambiente naturale insostituibile e ciononostante oggi sempre più compresso e degradato.

 

di Valentino Valentini, direttore Museo-Laboratorio della Fauna Minore di San Severino Lucano (PZ)
13 gennaio 2025

Sempre a proposito del progetto del dissalatore sul Tara (leggi qui l’articolo) penso sia utile citare due importanti dossiers della LIPU, entrambi pubblicati nel 2018: il primo in Toscana dal titolo “Fiumi distrutti”, a fronte degli impatti sull’ambiente e la biodiversità causati dalla distruzione della vegetazione lungo i corsi d’acqua di quella regione, l’altro in Emilia Romagna dal titolo “Fiumi in fumo”, redatto a causa di pesanti disboscamenti dei corsi d’acqua emiliano-romagnoli.

Questi due rilevanti documenti LIPU sono stati realizzati anche con l’aiuto, definito peraltro “indispensabile”, di loro volontari, ma anche di altre associazioni ambientaliste, di comitati e di singoli cittadini: in uno al Comitato di cittadini di cui faccio parte, ho motivo di ritenere che le conseguenze sugli ecosistemi fluviali che evidenziano siano perfettamente assimilabili a quelle del progetto di un dissalatore sul nostro Tara.

Da alcuni anni a questa parte, riferiscono all’unisono i due dossier, le politiche europee di riduzione delle emissioni di CO2 hanno determinato un aumento di domanda di biomassa legnosa, sia industriale per la produzione energetica, sia civile per il riscaldamento, tutto questo a fronte della riduzione dei bilanci pubblici che determina l’impossibilità di attuare interventi di gestione ordinaria e sostenibile della vegetazione ripariale: di questa situazione approfittano molte aziende private che spesso tagliano più del previsto e del consentito, causando notevoli danni ai pur delicati ecosistemi fluviali.

I due documenti denunciano, ma soprattutto si propongono di sensibilizzare tutti i soggetti coinvolti nella gestione idraulica, dalla pianificazione al controllo, sui temi, ormai scottanti, della biodiversità e della tutela delle specie e degli habitat naturali, per contribuire a sovvertire l’attuale politica di gestione dei corsi d’acqua (e qui noi in Puglia ne avremmo anche un gran bisogno…), onde avviare, come dimostrato da tre Università, Ispra e Politecnico di Torino a livello nazionale, un processo di rinaturalizzazione dei fiumi che già in tutta Europa sta portando incoraggianti risultati sia in termini di protezione della natura, sia nel settore dell’incremento della sicurezza idraulica.

La vegetazione ripariale, ricordano i due dossier, rappresenta un ambiente naturale importante e insostituibile tale che non può svilupparsi al di fuori del reticolo idrografico, ciononostante oggi nel nostro Paese è sempre più frammentata, discontinua, compressa e degradata. Essenziale per la conservazione della biodiversità e della connettività ecologica, è fonte d’importanti servizi ecosistemici perché mitiga le piene, contrasta l’erosione delle sponde e dei greti, favorisce la ricarica degli acquiferi sotterranei (importante!), riduce la velocità dell’acqua e ne migliora la qualità. È inoltre costituita da essenze autoctone considerate habitat d’interesse comunitario ai sensi della Direttiva 92/43 CEE (Direttiva Habitat) e quindi oggetto di tutela. Contrariamente alle formazioni forestali delle aree montane, i boschi ripariali non sono aumentati nel secondo dopoguerra ma sono piuttosto diminuiti a causa dell’espansione urbana, industriale e agricola.

Alla fine del XX secolo il movimento ambientalista ha avuto il merito di portare all’istituzione di diverse aree protette fluviali, alcune delle quali sono fulgido esempio d’una ottimale convivenza possibile tra natura e attività umane: auspicando, naturalmente, che questo diventi anche il caso del fiume Tara, questo nostro fiume identitario che oggi i tarantini vogliono preservato dal dissennato progetto d’un dissalatore distruttivo.
A tal fine diventa utile ribadire con forza le conseguenze dell’eliminazione, ma anche della riduzione, della biomassa vegetale ripariale, cosa che accadrà anche al Tara:

  • distruzione di ambienti rari e importanti tipici o esclusivi dei corsi d’acqua; perdita di biodiversità vegetale e animale;
  • distruzione e riduzione della connettività ecologica, della funzione, cioè, di corridoi ecologici svolta da tali corpi idrici (così come nel caso del nostro Tara che scorre in tratti planiziari dove l’ambiente circostante è quasi privo di elementi naturali a causa dell’agricoltura intensiva e dell’urbanizzazione);
  • eliminazione della limitazione dell’erosione e stabilizzazione delle sponde, del rallentamento della corrente, della mitigazione delle piene;
  • eliminazione del servizio ecosistemico di miglioramento della qualità delle acque e mitigazione del microclima col mantenimento anche dell’ombreggiamento;
  • eliminazione del servizio ecosistemico di ricarica degli acquiferi sotterranei;
  • possibile diffusione di specie vegetali esotiche invasive (come la Robinia pseudoacacia);
  • perdita dei valori paesaggistico-ricreativi di un corso d’acqua che può fungere da barriera naturale contro gli inquinanti e offrire spazi per il pubblico e l’educazione naturalistica ed ecologica: talenti questi ultimi che purtroppo, e questo bisogna scriverlo considerando anche il progetto del dissalatore sul Tara, sono piuttosto carenti specie dalle nostre parti e che oggi abbiamo il dovere di sollecitare con tutta la determinazione e la grinta possibili.
Rio Ardenza a Livorno (foto di Marco Dinetti dal dossier Fiumi distrutti)
Rio Ardenza a Livorno (foto di Marco Dinetti dal dossier Fiumi distrutti)