L’abitare è il primo problema che si pone per la nuova giunta. Perché una cosa è evidente: questo modello non è sostenibile.
di Lorenzo Somigli
11 luglio 2024
FIRENZE – Una delle critiche più comuni ai tanti che si oppongono, sempre più globalmente, al turismo di massa e al modello della città-merce o della città senza i cittadini è che questi vorrebbero colpire la proprietà privata, ledendo il diritto a godere di un proprio bene secondo l’uso che ritengono più profittevole. È vero il contrario. È proprio il modello della città senza cittadini, riprogrammata per una massa che non esercita i suoi diritti nel luogo ove soggiorna, che produce nomadi – Nomadland non ha vinto l’Oscar a caso -, espellendo i residenti (circa 7 mila ogni anno) o addirittura sfrattandoli per far spazio alle locazioni brevi (si è raggiunta in passato quota 478 sfratti), che forza la riprogettazione dello spazio e dei servizi a seconda delle nuove esigenze turistiche e non di quelle della vita quotidiana, a polverizzare quelle classi che sul risparmio e sulla casa hanno fondato la vita, oltre a coloro che sono sistematicamente espulsi dal mercato. Distruggendo l’abitare, si è sacrificata la stanzialità e i legami, materiali e non solo che intorno ad essa si costruiscono; dunque, è colpita anche la proprietà.
L’economia non è scissa dalla società. C’è sempre un modello politico dietro gli affari del privato. Economia e politica, pur con diverse gradazioni, se non condividono la stessa agenda, sono per lo meno interdipendenti. I tratti salienti e le tappe che hanno scandito la vittoria di questo modello sono: la destinazione, favorita dagli strumenti urbanistici adottati nel precedente decennio, di larga parte del tessuto urbano del centro agli affitti brevi e la conseguente espulsione dei ceti più poveri, segue un rialzo generalizzato dei prezzi; il passo successivo è l’estensione del sistema prima relegato al solo centro a tutta la prima periferia, le avanguardie sono i nuovi bunker turistici, finanziati da fondi internazionali, sorti nella cintura dei viali, che non tarderanno a entrare in concorrenza con i “piccoli proprietari” e, con il potere dei mezzi, a spazzarli, una volta che questi hanno aperto la strada al suddetto modello. A ciò si accompagnano degli interventi accessori ma non secondari come il colpire la mobilità privata, il ridurre gli spostamenti, il sanzionare gli spostamenti dalla cintura metropolitana alla città stessa, erigendo un muro che non è mai esistito tra la provincia e la città.
È bene aver chiaro che è in corso una trasformazione genetica delle città, a partire da quelle cosiddette “d’arte”, anche se l’Italia trae la sua forza dal genius loci dei comuni “minori” e non solo dalle capitali amministrative; la fiorentinità si estende in tutto il Valdarno, dove San Giovanni custodisce la pianta urbanistica di Arnolfo, a Scarperia e Firenzuola nel Mugello, alla Val d’Elsa fino a Castelfiorentino e Certaldo. Firenze ha dettato nella sua storia un canone di estetica, è stata il centro in cui si è raccolta, rielaborata e diffusa la cultura occidentale, che si fonda sul vivere civico e l’abitare, ed è per questo che queste alterazioni risaltano così tanto. Città e cittadinanza sono inscindibili e parti di una visione del mondo organica.
C’è stato un grande reset. Si delinea una città senza più produzione e con sempre meno lavoro, sempre più ristretta nei numeri, una città di taglia medio-piccola anziché una moderna città metropolitana, più severa con gli abitanti e più accondiscendente con i forestieri, retta da un business fragile perché altamente suscettibile a un qualsiasi shock esogeno, nella quale la voce dei residenti e dei lavoratori sarà sempre più marginale politicamente, i collegamenti – le tramvie sono l’esempio perfetto – sempre più sbilanciati sul turismo. Cittadini, produzione, infrastrutture sono, invece, le chiavi che attribuiscono un peso politico sullo scenario nazionale a una città e non è forzato individuare in questa la progressiva marginalizzazione di Firenze nelle scelte nazionali.
Il quadro è fosco. Non si possono dimenticare, tuttavia, la crescita e la pluralità delle voci critiche rispetto a questo modello della città-merce. A fronte di timide opposizioni, o tentativi di riassorbimento e sterilizzazione, a fronte di delibere nate morte che avrebbero il solo scopo di cristallizzare l’esistente, è maturata nella città, con il costante lavorio di molti, una consapevolezza che prima non c’era. Certo, si è dovuto dimostrare un’evidenza: questo modello non è sostenibile, alla lunga stucca perfino i forestieri, non è, alla lunga, nemmeno profittevole. Certo, le speranze che la classe dirigente cittadina rinsavisca e compia un’imprevedibile inversione sono al lumicino. C’è da ricordare che chi ha tutelato questo modello e ne ha permesso la penetrazione e la vittoria ha ricevuto ampio consenso. Di contro le opposizioni, salvo sparute sparate, non hanno colto la clamorosa occasione per mettere sul banco d’accusa l’amministrazione cittadina colpendola nel punto più debole. Tuttavia, non tutto è ancora perduto.
L’individuo, per quanto unico e irripetibile, è sempre uno e solo e uno non vale uno nel sistema dove tutto – le memorie del passato e l’arte, la città e perfino la vita dell’uomo – valgono in quanto merce. L’unica speranza risiede, come sempre, nella lotta, nel dissenso, nella critica politica seria, rigorosa, capillare, nell’offrire alternative per pensare altrimenti, nel difendere quei casi e quei modelli di convivenza che sfidano apertamente questo stato di cose. Tutto parte dal capire che, se c’è un problema e qualcuno ne soffre, esso è un problema sociale di rilevanza collettiva, che si espanderà e prima o poi colpirà tutti, anche chi oggi è ripiegato sul “particulare”. Saranno anni in cui le dinamiche descritte prenderanno ancor più slancio e il dramma sociale toccherà nuove vette ed è per questo che fermarsi non è concesso, organizzarsi è necessario. Un primo passo può essere quello di un Forum per l’Abitare.
Lorenzo Somigli è giornalista pubblicista e ufficio stampa. Scrive regolarmente su riviste italiane ed estere, come Transatlantic Policy Quarterly, concentrandosi su geopolitica ed energia e ha svolto reportage in Libano e Turchia. Ha realizzato studi sul federalismo e sui sistemi a pluralismo religioso pubblicati da Eurac e IACL. È collaboratore parlamentare e segue i lavori dell’VIII Commissione ambiente alla Camera.
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