Secondo il grande ecologista la radice della crisi sta nello sconvolgimento dei sistemi naturali, il cui corretto funzionamento nessuna tecnologia può ripristinare.
di Valentino Valentini, direttore Museo-Laboratorio della Fauna Minore di San Severino Lucano (PZ)
30 settembre 2024
Edward Goldsmith oltre che fondatore della rivista The Ecologist può essere annoverato tra i padri fondatori dell’ecologia a livello internazionale. Il principale difetto della società industriale e della divinazione del suo “sviluppo” – scriveva sulla sua rivista già nel 1972 – sta nel fatto che questo tipo di società non può durare all’infinito ed è anzi destinato a finire entro il corso della vita di quanti sono nati già oggi; le condizioni per una società stabile e che possa durare nel tempo fornendo ai suoi membri il massimo benessere sono: 1) minimo danno ai sistemi e ai processi ecologici; 2) massima conservazione delle materie prime e dell’energia; 3) popolazione mondiale in equilibrio, in cui cioè le nascite sono in numero uguale ai decessi; 4) un sistema sociale in cui l’individuo possa godere delle tre suddette condizioni senza traumi e condizionamenti di sorta.
Per Goldsmith si rende quindi necessario mettere in prima fila l’integrazione dei sistemi: se si riesce a ottenere tecnologie pulite ma non si mette un freno allo “sviluppo economico” prima o poi avremo ugualmente il problema dell’inquinamento senza più alcun mezzo per combatterlo; se invece si stabilizza l’economia e usiamo razionalmente le risorse ma non ci curiamo di stabilizzare la popolazione ben presto non saremo in grado di sfamarci.
Identificando Goldsmith proprio nell’industrializzazione la causa prima degli attuali problemi ecologici e sociali è perfettamente logico che egli veda la loro soluzione nella deindustrializzazione. Per questo studioso è nato un mondo che si è scostato tanto drasticamente da quello al quale siamo stati adattati dalla nostra evoluzione naturale che oggi abbiamo molta difficoltà a comprendere la gravità dei problemi ambientali e planetari che ci stanno di fronte: deforestazione, erosione e impoverimento del suolo, salinizzazione e desertificazione, generale inquinamento e mineralizzazione dell’ambiente, riscaldamento del globo, perdita di biodiversità.
Criticato da diversi pensatori politici, Goldsmith risponde che i sistemi umani da prendere a modello non sono per niente utopici ma si basano sulla storicità e anche sulla realtà e attualità di quelle comunità tradizionali che per millenni hanno vissuto una vita prospera e sana senza distruggere il loro ambiente e causare alienazione sociale, come oggi purtroppo spesso avviene.
A dispetto di ciò che sta accadendo ai nostri sistemi naturali e umani solo un’esigua minoranza dei nostri accademici, per non parlare di industriali e politici, mostra qualche preoccupazione per tutti questi gravi problemi che dimostrano quanto impotenti siano ancora le nostre politiche e la nostra tecnologia. La radice dalla nostra attuale crisi – incalza ancora – sta tutta nello sconvolgimento dei sistemi naturali, il cui corretto funzionamento nessuna tecnologia può ripristinare: nessuna, per esempio, che possa creare di nuovo una foresta tropicale, nessuna che possa riportare in vita le centinaia e centinaia di specie che si estinguono ogni anno per colpa dello strapotere economico e tecnologico dei Sapiens, così come nei sistemi umani non v’è alcun congegno che possa ricostruire una famiglia o una società disgregata o un modello culturale degradato. Solo la Natura può farlo – conclude Goldsmith – perché la vita non si sarebbe adattata a un mondo inerte prodotto dalle mani cieche della chimica e della fisica ma è stata attrice e protagonista della propria evoluzione: e il massimo che i nostri politici e tecnologi possono fare è mettere finalmente a punto, e con la massima urgenza, politiche e tecnologie molto meno distruttive che esercitino un impatto molto minore sul nostro ambiente, ricreando in tal modo le condizioni in cui la Natura possa fare il suo lavoro.
Col progredire della scienza le nuove, interessanti contaminazioni disciplinari tra l’ecologia e le teorie dei sistemi dinamici hanno contribuito a far riflettere ancor di più sui limiti della nostra conoscenza del mondo naturale, mettendo tra l’altro in discussione l’esistenza della tradizionale visione statica dell’equilibrio della natura che Goldsmith, tanto fideisticamente, ha ritenuto centrale nella sua visione del mondo.
Non sono pochi gli ecologi moderni che oggi ritengono i sistemi naturali dotati di un’ampia complessità che pone limiti evidenti alla nostra capacità di approfondire la conoscenza del loro funzionamento e la previsione della loro evoluzione. “Una sola cosa è certa – scrive il grande ecologo Robert May – i sistemi biologici, dalle comunità alle popolazioni fino ai processi fisiologici, sono governati da meccanismi non lineari, con il risultato che ci dobbiamo aspettare il caos con la stessa frequenza con cui troviamo cicli o situazioni stazionarie”.
L’armonia e l’equilibrio della natura sono costituiti, invero, dalla capacità di evoluzione della natura stessa, evoluzione fatta di modificazioni e perturbamenti, sconvolgimenti e salti di gradualità, una realtà che muta costantemente e che oggi deve interagire con l’intervento particolarmente invasivo dovuto all’impatto umano.
Le leggi non governano il mondo, ma questo non obbedisce neppure al caso. Si capisce allora come il tema della sostenibilità sia diventato argomento centrale per individuare soluzioni concrete al nostro attuale deteriorato rapporto col mondo naturale, e alcuni Nobel si stanno attivando proprio in questo senso. Uno di questi, il chimico Ilya Prigogine, ha scritto: “Il possibile è più ricco del reale. La natura ci presenta in effetti l’immagine della creazione, della novità imprevedibile. Il nostro universo ha seguito un percorso di biforcazioni successive, ma avrebbe potuto seguirne altre. E se ci pensate bene con ogni probabilità possiamo dire la stessa cosa per la vita di ognuno di noi”.
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