Esposto di Greenpeace alla Corte dei Conti contro la Regione Toscana che si difende e attribuisce la responsabilità delle attività di recupero al Ministero dell’Ambiente.
di Marcello Bartoli
Nei giorni scorsi Greenpeace ha presentato un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale nei confronti della Regione Toscana relativamente alla questione delle ecoballe di plastica ancora giacenti nelle acque protette del Santuario dei Cetacei.
La storia è tristemente nota. Era il 23 luglio 2015 quando una nave cargo salpava da Piombino diretta a Varna, in Bulgaria, con un carico di 1.888 balle di rifiuti di plastica da incenerire. A causa di un’avaria, un’ora dopo la partenza il Comandante dava ordine di sversare in mare una parte del carico, pari a 56 balle. È così che 65 tonnellate di plastica finivano nelle acque protette del Santuario dei Cetacei.
“Nessuna autorità marittima venne a conoscenza dell’incidente fino al 31 luglio dello stesso anno, quando una balla finì accidentalmente nelle reti di un peschereccio nel Golfo di Follonica – racconta Greenpeace -. Da qui partì l’inammissibile catena di omissioni, mancanze e negligenze delle istituzioni preposte che, invece di intervenire, si sono rimpallate ruoli e responsabilità che hanno lasciato per cinque anni il mare e le sue creature in balia di tonnellate di plastica”. E ancora oggi, al netto di quelle recuperate, ne mancano all’appello un numero tra 45 e 48.
“All’epoca dei fatti la Regione aveva in mano una fidejussione di quasi tre milioni di euro – continua Greenpeace – poi restituiti, a garanzia dei possibili danni, anche ambientali, intercorsi durante le operazioni di trasporto e che potevano essere usati per recuperare il carico disperso. Non si può trasformare un’area da salvaguardare in una grande discarica sottomarina senza che il principio “chi inquina paga” venga applicato”.
Gli uffici regionali dal canto loro precisano di non avere nessuna titolarità del presidente o della Giunta regionale in relazione all’atto contestato da Greenpeace: “L’atto in questione risale al novembre 2016 ed è stato firmato in piena autonomia dall’allora dirigente competente. Nei casi di trasporti transfrontalieri la fidejussione è prestata a favore del Ministero dell’Ambiente”.
“Non abbiamo nessuna competenza diretta – conclude la Regione – ma con Arpat ci siamo messi a disposizione del Commissario straordinario governativo che ha provveduto a individuare la localizzazione delle ecoballe in mare. In aprile la Protezione civile ha comunicato che non era possibile riconoscere lo stato d’emergenza nazionale perché l’origine della criticità non è un fenomeno naturale ma antropico. A maggio, in accordo col Ministero dell’Ambiente, abbiamo convocato un incontro da cui è scaturita la richiesta di rivalutare la concessione dello stato d’emergenza nazionale”.
Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha nominato l’ammiraglio Aurelio Caligiore quale Commissario straordinario, in quanto comandante del Ram, reparto ambientale marino, in grado di avvalersi dei mezzi e degli uomini della Guardia Costiera. “Ho costituito una direzione generale che si occupa di mare – ha dichiarato il ministro – e ho dotato di poteri supplementari e più specifici il professor Giugni, commissario per le acque e le depurazioni. Stiamo istituendo le Zea, zone economiche ambientali che riguardano anche le aree protette in mare, aree con vantaggi economici e fiscali. Ho chiesto, infine, l’istituzione di uno stato di emergenza nazionale per velocizzare gli interventi“.
Ma ad oggi, nonostante la localizzazione di una parte delle balle di plastica, la nomina di un Commissario straordinario, la dichiarazione dello stato di crisi ambientale decretato da ISPRA lo scorso maggio, non c’è alcuna certezza sulla rimozione di questi rifiuti, una bomba a orologeria che attende ancora di essere disinnescata.
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