Dopo tante campagne plastic free, una doccia fredda di fine estate fatta cadere sulle nostre teste da uno dei più grandi gestori di servizi ambientali.
di Laura Lop
Certamente ricorderò questa settimana come la tegola fatta cadere quasi sbadatamente sulle nostre teste da uno dei più grandi gestori di servizi ambientali: “Allo stato attuale, siamo costretti a dare indicazione di conferire la bioplastica nel residuo non differenziato”.
Così parlò ALIA, il gestore di 58 Comuni della Toscana sotto le tre province di Firenze, Prato e Pistoia, azienda partecipata dai Comuni stessi, tanto che il Comune di Firenze ne detiene quasi il 59% di azioni.
Una doccia fredda che, anziché metaforicamente alleviare i problemi causati da questa lunga estate già dichiarata tra le più calde e messa alla prova dai subbugli politici, aggiunge un enorme carico tra le questioni bollenti da affrontare con grande urgenza.
Il caso scoppia a seguito di un’intervista rilasciata a una radio fiorentina da parte dell’amministratore delegato che testualmente dichiara “le bioplastiche negli impianti di compostaggio vengono scartate oppure finiscono in frammenti che contaminano il compost finale. Il problema è che le condizioni per la degradabilità non sono le stesse. Quindi le stoviglie compostabili non possono essere riciclate – a differenza delle plastiche fossili – perché ancora non sono stati messi a punto processi adatti, diventano rifiuti indifferenziati e come tali vanno anche smaltiti”.
Mi struscio gli occhi, non era forse scontato e intuitivo che i tempi di degradabilità di un pomodoro e di un bicchiere in bioplastica fossero diversi?
Stesso ragionamento si poteva aver fatto molti mesi fa sul prevedibile aumento della quantità di compostabili conferiti nell’umido. Dopo le tante campagne per abbandonare la plastica convenzionale, dopo che Ministeri, Comuni, Università e la Regione Toscana stessa si sono dichiarati plastic free, dopo che ne abbiamo preferito la vendita al dettaglio anche all’interno dei supermercati.
Con la lettura di questo articolo, tra l’altro su Facebook per mezzo della condivisione di una pagina che seguo, mi sono sentita come catapultata dentro il famosissimo quadro “L’urlo di Munch”: l’angoscia dell’uomo che nel perdere fiducia nel futuro caccia un urlo che deforma i suoi lineamenti e l’ambiente circostante.
A distanza di vari giorni dall’intervista, ancora niente di ufficiale tramite nessun mezzo di comunicazione. Addirittura si vociferava di una possibile rettifica dove Alia, cambiando idea, forse potrebbe indicare di smaltire i compostabili (non è dato sapere se solo bioplastiche o tutta la categoria dei diversi materiali compostabili) nel sacco della plastica e non più nell’indifferenziato.
Sotto la pressione di alcuni cittadini che hanno scritto e preteso delle risposte da Alia, siamo arrivati allo scioccante titolone di giornale: “Che sia bio o normale, la plastica va a finire nello stesso mucchio”.
Pentola scoperchiata, al via il rincorrersi di telefonate, messaggi, comunicati; se tutto appare molto complicato, è certo che da ora in poi sarà impossibile nicchiare sulla gravità dei fatti.
Ricevo in copia un’ulteriore risposta di Alia a un privato che chiedeva spiegazioni e dove il gestore argomentava: “Nonostante quanto riportato dai produttori sulle etichette degli imballaggi in bioplastica, gli impianti industriali di riciclo del materiale organico non consentono la compostabilità completa, citando la norma UNI EN 1342”.
Eh no, un attimo, le etichette non sono autocertificazioni apposte dai produttori ma certificazioni autorizzate da Enti preposti dopo il via libera dei test. Il problema sta negli impianti e non nei prodotti e materiali di bioplastica.
Occuparmi dello smaltimento dei rifiuti e dei prodotti compostabili fa parte del mio lavoro, tendere verso rifiuti zero è il movimento che sostengo per passione e convinzione come unica alternativa al nostro impatto inquinante.
Tutte le valutazioni tecniche sulle procedure, di metodo sul mancato adeguamento degli impianti e di opportunità di gestione, confido che vengano analizzate, risolte e rese pubbliche in tempi brevi da personalità ben informate ed enti come il CIC (Consorzio Italiano Compostatori) che ha appena sottoscritto un accordo con Corepla per monitorare lo smaltimento delle bioplastiche compostabili in circa 80 aziende).
Intanto vorrei schematizzare alcune considerazioni in risposta ad Alia:
– Il termine “compostabile” significa che il prodotto deve disintegrarsi in meno di tre mesi, all’interno di impianti di compostaggio industriale. La certificazione è applicata da Enti idonei a farlo.
– Fonte Assobioplastiche: “Non è vero che ovunque in Italia le bioplastiche vengono buttate nell’indifferenziato. Ci sono impianti che da tempo compostano le bioplastiche. Si tratta di un problema di adattamento e di evoluzione del sistema di smaltimento.”
– Fonte Corepla: nel 2017 soltanto il 43,5% della plastica raccolta con la differenziata è stato riciclato, il resto è finito negli inceneritori e discarica perché nei cassonetti si mischiano troppi polimeri.
– Fonte Ugo Bardi: dagli anni 50 ad oggi abbiamo prodotto una tonnellata pro capite di plastica a partire da idrocarburi fossili, di cui l’80% è ancora in giro. Conseguenze, microplastiche e CO2 per rinfocolare il nostro riscaldamento globale.
– Fonte CIC: “Il compost rappresenta un fertilizzante naturale che migliora la qualità dei suoli e permette di rinunciare ai prodotti chimici di sintesi: produrre un compost di alta qualità e promuoverne la diffusione significa diffondere uno strumento efficace contro erosione, impermeabilizzazione, perdita di biodiversità e contaminazione”.
Nel rispetto delle normative europee, nel tendere verso l’economia circolare che non spreca risorse (la frazione di indifferenziato deve essere minimizzata), per tutte quelle istituzioni e cittadini che attendono di sapere come poter essere più virtuosi nei casi in cui il monouso sia una necessità inevitabile, attendiamo comunicati più chiari e veicolati attraverso una strategia comunicativa adeguata a fare chiarezza per il breve e lungo periodo.
Laura Lo Presti vive sulle colline del Montalbano, circondata dalla Natura e dai suoi gatti. Attivista ambientale per passione, collabora con il Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori (www.rifiutizerocapannori.it) e con Ekoe società cooperativa (www.ekoe.org) per la commercializzazione di stoviglie e imballi ecologici.
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