Inquinamento

Dalle piante agli animali all’uomo, così le microplastiche contaminano il nostro cibo

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Una ricerca Enea-Cnr ha ricostruito in laboratorio il percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”. Potenziali danni al Dna per l’intero ecosistema.

 

6 giugno 2023

La plastica dispersa nell’ambiente non sparisce ma si riduce in particelle piccolissime più piccole di 5 mm, dette microplastiche. Uno studio Enea-Cnr pubblicato sulla rivista internazionale Water ha descritto una parte del percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”, dimostrando come questo contaminante si trasferisca dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche e, quindi, ai crostacei che se ne cibano, con danni al patrimonio genetico di questi ultimi e, a lungo termine, per l’intero ecosistema.

Il team Enea, insieme ai ricercatori dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr coordinati da Massimo Zacchini, ha valutato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene (PE), tra le più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali. In particolare le specie utilizzate sono state la Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, una piccola pianta acquatica galleggiante, e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto, che è poi l’alimento base di pesci come le trote. Le piantine sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri – più piccole del diametro di un capello – e dopo 24 ore trasferite nella vasca dei gamberetti.

I risultati hanno dimostrato che le piante durante l’esposizione, oltre a una lieve riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici di cui i crostacei si cibano, ingerendone in media circa 8 particelle per esemplare. È stato possibile anche dimostrare che le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengono sminuzzate e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi che possono rientrare nella catena alimentare, cosiddetta “del detrito”, in maniera potenzialmente più pericolosa di quella di partenza.

Questo studio mostra chiaramente, all’interno di un sistema controllato di laboratorio, i meccanismi attraverso i quali le microplastiche entrano e si trasferiscono all’interno della catena alimentare”, sottolinea Valentina Iannilli, ricercatrice Enea del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici. “Le piantine, infatti, hanno avuto il ruolo di ‘raccogliere’ e ‘trasferire’ queste particelle ai crostacei, fonte di cibo per i pesci che a loro volta accumulano microplastiche anche nei muscoli, che sono poi le parti che noi mangiamo”.

Infine sono stati valutati gli effetti diretti delle microplastiche sul DNA dei crostacei, per comprendere se queste particelle potessero indurre anche genotossicità, ovvero danni a livello del materiale genetico. Dopo solo 24 ore si è visto che gli individui “trattati” con le microplastiche presentano un livello di frammentazione del DNA notevolmente superiore rispetto a quelli non trattati, il che dimostra che queste particelle sono effettivamente in grado di indurre un danno al DNA nelle cellule degli organismi studiati.

Questo significa che le microplastiche non sono, come spesso è riportato, materiale inerte che non interagisce con le funzioni degli organismi ma che, invece, si ‘muovono’ lungo la catena alimentare con effetti diretti anche sull’integrità del patrimonio genetico e di conseguenza potenzialmente a lungo termine su popolazioni, comunità e interi ecosistemi”, aggiunge Valentina Iannilli. “Un risultato che deve far riflettere sulla pericolosità del rilascio nell’ambiente di queste particelle microscopiche derivate dalle attività umane, anche in considerazione della loro diffusione in tutte le matrici ambientali come acqua, suolo, aria, ghiacci dell’Artico fino ai sistemi agricoli”.

Fonte: Enea – Cnr