Ecosistema

Cosa vuol dire essere un Giardiniere planetario, intervista con Dario Boldrini

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È appena uscito il suo nuovo libro, “Il Giardino Planetario”. Dove dimostra che tutto si può coltivare e far diventare un giardino, anche il deserto.

 

Redazione

Il Giardino PlanetarioQuando iniziano a cadere le foglie, cambia l’odore della terra, il tempo rallenta affinché il riposo di questa stagione possa nutrire i semi del futuro, ecco che un’opera editoriale tanto attesa fiorisce.
È uscito il nuovo libro di Dario Boldrini “Il Giardino Planetario”, edito da Stella Mattutina Edizioni. In quest’intervista un assaggio dei contenuti del libro e alcune note sull’autore.

Dario, cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
“Mi hanno spinto l’entusiasmo e la fiducia delle piante verso tutti gli esseri umani che vorranno leggerlo. Lo ammetto, l’obiettivo è ambizioso ma credetemi, soltanto assoggettandosi un po’ alle piante e alla Natura possiamo davvero riscoprire la bellezza di un fiore che sboccia o di un seme che germina, il mistero di una consociazione o la magia delle forme e delle alchimie in giardino. Ho pensato di scrivere una prima parte più saggistica con brevi capitoli sui temi legati alla terra, all’ecologia, alla natura e alle virtù delle piante; una seconda parte come un diario di viaggio che contiene alcune delle centinaia di escursioni di lavoro e studio che ho fatto in tutta Italia per Rai3 al fine di raccontare luoghi e persone che a mio avviso entrano a pieno titolo nel mondo del Giardino Planetario; la terza parte con due progetti concreti di mio pugno che possono ispirare un nuovo modo di progettare spazi aperti secondo natura. E quando scrivo la parola “natura” non intendo soltanto i suoi elementi costituiti dalle piante, gli alberi, le rocce, i fiori, gli animali, ma comprendo il rispetto della natura del luogo, di quel genius loci così sottile e fragile, e della natura dell’uomo, la società in cui il giardino si inserisce e la storia che lo ha generato”.

Perché hai scelto questo titolo, ‘Il Giardino Planetario’?
“Per due motivi: il primo è per omaggiare l’opera di un mio mentore, Gilles Clement, che ancora credo sia poco compreso e accolto in Italia rispetto ai principi che ha introdotto del Terzo Paesaggio e del Giardiniere Planetario. Il secondo perché ho un grande intento che è quello di diffondere la visione del nostro Pianeta come un grande giardino, così che ognuno di noi possa sentirsi artefice “giardiniere” che lo crea, lo protegge, lo rispetta, lo disegna e, così, lo vive.
Se consideriamo il nostro piccolo giardino di casa come un tassello di un mosaico più ampio, ecco che allora possiamo immaginare il Pianeta come l’Eden in cui tutti noi vorremmo vivere”.

i giardini dell'impossibileQual è il giardino che più ti ha insegnato qualcosa?
“Difficile sceglierne uno solo fra le centinaia che ho visitato e studiato. Ogni volta ognuno di loro mi ha arricchito di nuovi meravigliosi saperi. Posso sforzarmi nel citarne due: il Giardino di Ninfa nel Lazio, dove il tempo sembra essersi fermato alle immagini paradisiache di un corso d’acqua che specchia un glicine di 50 metri che danza fra le antiche rovine dell’uomo e i vigorosi rami di maestosi alberi. Un raro esempio di intatta armonia della Natura. L’altro è senz’altro il Forest Garden di Peter Norbert in Puglia, in cui ho capito che anche anche un deserto si può coltivare, anche il diverso si può integrare e in natura i limiti non esistono. In quel luogo ho visto orchidee e stramonii in mezzo a dei cactus colonnari di 7 metri, alberi da frutto nella macchia mediterranea pacciamati con asparagi e tageti, intrecci eroici fra succulente e legnose autoctone. Il tutto dove c’era il deserto, con la sola consapevolezza e fede che in natura esistono tante e ancor di più strade per raggiungere l’obiettivo. Una vera e propria oasi nata in un terreno carsico pressoché desertico”.

Cosa vorresti augurare ai tuoi lettori?
“Auguro a tutti, lettori e non, di non perdere mai per troppo tempo il contatto con la Natura e i suoi elementi, di raccogliere semi in ogni parte del mondo e disperderli nel vento, di farsi un orto e vivere dell’abbondanza della terra, di celebrare la bellezza delle piante come celebrano e amano la bellezza della propria famiglia, di portare la luce anche dove il cammino sembra metterci di fronte soltanto croci”.
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