Lo studio è stato coordinata dall’Università di Pisa, i risultati pubblicati sulla rivista “Scientific Reports”. Lo stress da raggi ultravioletti è un tema di stretta attualità a causa della riduzione dello strato di ozono.
PISA – Per la prima volta un team di ricercatori ha rivelato il meccanismo che permette alla quinoa di resistere all’esposizione ai raggi ultravioletti estremi consentendo a questa pianta di sopravvivere molto più a lungo rispetto ad altre specie erbacee.
Lo studio è stato finanziato dalla Schlumberger Foundation a Thais Huarancca Reyes, assegnista dell’Università di Pisa, nell’ambito del programma “Faculty for the Future”. A coordinare il gruppo è stato Lorenzo Guglielminetti del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa che ha lavorato insieme alle colleghe Antonella Castagna e Annamaria Ranieri e in collaborazione con Andrea Scartazza del CNR ed Eric Cosio Caravasi della Pontificia Università Cattolica del Perù. I risultati della ricerca sono stati appena pubblicati su “Scientific Reports”, una delle riviste del gruppo Nature.
“Negli ultimi anni gli studi basati sulla percezione e sulla risposta ai raggi ultravioletti sono decisamente aumentati, un interesse legato anche alla riduzione dello strato di ozono nell’atmosfera degli ultimi decenni – ha spiegato Lorenzo Guglielminetti – ma ricerche approfondite sulla risposta di una pianta adattata a esposizioni ultraviolette estreme, come la quinoa, non erano ancora disponibili”.
In particolare, i ricercatori hanno indagato le reazioni di difesa che la quinoa, una pianta sempre più utilizzata per le preziose qualità nutrizionali dei suoi semi, mette in atto per rispondere a dosi elevate di raggi ultravioletti di tipo B. Lo studio ha messo in luce gli adattamenti metabolici e fisiologici grazie ai quali la quinoa riesce a rallentare i processi degenerativi (diretti e indiretti) tipici dello stress da raggi ultravioletti e che garantiscono a questa pianta una sopravvivenza più lunga rispetto ad altre specie analoghe specie.
“Aver compreso queste caratteristiche – ha concluso Lorenzo Guglielminetti – non ha solamente un interesse scientifico, ma apre anche scenari concreti per il miglioramento genetico di altre colture agrarie”.
Fonte: Università di Pisa
Aggiungi un commento