Presso Altopascio una delle necropoli più importanti d’Europa. Un archivio biologico capace di svelare usi, costumi, malattie e stato sociale a ritroso fino a prima dell’anno Mille.
ALTOPASCIO (Lu) – Quello che resta della battaglia di Altopascio del 1325 ci viene consegnato oggi sotto forma di piccola spada costituita da un blocco unico di metallo, una specie di pugnale chiamato baselardo, caratteristica dell’armamento medievale del XIV secolo. L’oggetto è solo uno degli ultimi ritrovamenti dello scavo bioarcheologico di Badia Pozzeveri, tra i più importanti d’Europa. Qui, dal 2011, archeologi italiani e americani lavorano insieme da un’estate all’altra sotto la direzione scientifica di Antonio Fornaciari della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa.
La particolarità dello scavo è che si concentra soprattutto sui resti umani per ricavare informazioni fondamentali sullo stile di vita della popolazione medievale toscana. Badia Pozzeveri è sede di due importanti iniziative didattiche: il master in antropologia scheletrica, forense e paleopatologia, promosso dalle Università di Bologna, Milano e Pisa e la Fieldschool Pozzeveri in Medieval Archaeology and Bioarchaeology, gestita dall’Università di Pisa e dall’Institute for Research and Learning in Archaeology and Bioarchaeology di Columbus in Ohio, che richiama ogni anno una quarantina di studenti statunitensi, canadesi e di altri stati.
A distanza di nove anni dall’apertura, lo scavo di Badia Pozzeveri continua a rivelare storie e notizie, che permettono di ricostruire gli avvenimenti storici a cavallo di più secoli e tracciare l’identikit sociale e culturale delle popolazioni che sono transitate da quelle zone.
Il baselardo ritrovato nelle scorse settimane per esempio potrebbe essere una traccia tangibile della battaglia che vide protagonista la Badia di Pozzeveri, l’antico monastero costruito intorno al Mille vicino al centro di Altopascio, tappa importante della via Francigena. Un monastero che dopo un periodo di grande sviluppo grazie ai frati camaldolesi, nel 1325 viene occupato dall’esercito guelfo fiorentino guidato da Raimondo di Cardona: qui si svolgeranno le operazioni militari della celebre battaglia di Altopascio, che vide il trionfo delle truppe lucchesi ghibelline di Castruccio Castracani.
Ma non solo: vicino a dove è stata ritrovata l’arma sono emersi dal passato anche una fornace per la gettata di una campana e un piccolo laboratorio per la lavorazione dei metalli. E anche resti di ceramiche provenienti dal nord Africa, testimoni di un’attività commerciale molto vivace, che ancora una volta trovava il suo fulcro nell’Abbazia, strategica grazie al passaggio della Via Francigena e alla vicinanza con il lago di Bientina, naturale collegamento con il fiume Arno e quindi con Pisa e Firenze.
Il tutto arricchito dagli ultimi ritrovamenti di antiche sepolture che nei nove anni di scavo hanno delineato una stratificazione cimiteriale importantissima e perfettamente conservata, trasformando di fatto l’area archeologica di Badia Pozzeveri in una delle necropoli più interessanti d’Europa, capace di svelare usi, costumi, malattie e stato sociale dalla metà dell’800 e a ritroso fino a prima dell’anno Mille.
IL SITO ARCHEOLOGICO. Il sito archeologico ha rivelato negli anni una storia molto complessa: alle tracce di un villaggio altomedievale si succedono nell’XI secolo i resti di un complesso religioso incentrato su una canonica che si trasforma agli inizi del 1100 in una grande abbazia camaldolese.
Gli scavi nelle ultime due campagne si sono soffermati sui livelli più antichi della canonica e dell’abbazia e in particolare sulle sepolture legate a queste due istituzioni. La frequentazione di questo luogo continuò in età moderna quando, dopo la soppressione dell’abbazia, la chiesa venne ridotta a un semplice edificio parrocchiale, e tuttavia l’uso cimiteriale continuò fino alla metà dell’800.
“Grazie alla continuità dell’uso cimiteriale dell’area intorno alla chiesa di San Pietro – spiega Antonio Fornaciari – è stato possibile acquisire un campione scheletrico notevolissimo, che senza soluzione di continuità spazia dall’XI al XIX secolo, un caso più unico che raro a livello europeo. Si tratta di un vero e proprio archivio biologico che possiamo interrogare applicando i moderni metodi bioarcheologici e biomedici. Abbiamo trovato tombe di livello sociale diverso, in semplici fosse e in muratura di pietra, che in molti casi rivelano anche l’ottimo livello di alimentazione, confermato dal fatto che gli individui erano mediamente di alta statura”.
DUE PROGETTI DI INTERESSE INTERNAZIONALE. Tra gli studi d’avanguardia che hanno coinvolto i resti umani trovati a Badia Pozzeveri spiccano due progetti internazionali: il primo riguarda lo studio del patrimonio genetico orale di un campione di individui datati dall’XI al XX secolo, ricostruito partendo da frammenti di tartaro dentario. La ricerca ha permesso di riconoscere i batteri ospitati nel cavo orale della popolazione medievale e postmedievale. In un monaco camaldolese sepolto nel chiostro è stato identificato un batterio che in genere si trova nelle bevande fermentate, come il vino, e che non è stato invece individuato nel patrimonio genetico dei laici.
Un’altra ricerca d’avanguardia è stata svolta in collaborazione con l’Università danese di Aarhus: dalle analisi sul campione medievale è risultato che gli abitanti della zona avevano un’ottima alimentazione, con un notevolissimo apporto proteico. Segno che la carne era molto presente sulla loro tavola. Si tratta dunque di persone appartenenti a classi sociali benestanti, probabilmente ricchi benefattori del cenobio, che avevano ricevuto il privilegio di essere sepolti nel cimitero della grande chiesa. “Stiamo lavorando sugli scheletri per individuare altre malattie – continua Fornaciari -. Ci aspettiamo di trovare casi di tubercolosi, che sappiamo essere stati frequenti tra il XIII e il XIV secolo: attraverso l’ambiente orale e le ossa si può capire come si siano sviluppate le malattie e ricostruirne l’andamento”.
Insomma, è il nostro passato che viene fuori e ci parla attraverso i resti di coloro che hanno vissuto in questi luoghi. Un lavoro che meriterebbe di essere conosciuto anche fuori dalla cerchia degli specialisti. “Vorremmo creare un museo con i resti emersi in questi nove anni – fa sapere il sindaco di Altopascio Sara D’Ambrosio – far conoscere l’importanza di questo sito, e poi riuscire a ottenere i fondi necessari per restaurare e riaprire l’antica Abbazia. Quest’ultimo passo sarebbe il completamento del percorso di rinascita di questa zona che stiamo portando avanti: non è semplice, perché servono molte risorse, ma ci stiamo lavorando”.
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