Ecosistema

Cave di marmo: Legambiente torna all’attacco

Blocchi e detriti

Le accuse all’Ufficio marmo del Comune: mancanza di trasparenza, rifiuto di fornire dati, tolleranza di abusi decennali, gestione opaca ai danni della comunità.

di Gabriella Congedo

CARRARA – Cave di marmo a Carrara: Legambiente torna all’attacco in nome della trasparenza.
In un precedente documento (cfr. Legambiente Carrara: ecco il Far West delle cave) l’associazione metteva in evidenza, dati alla mano, lo scempio della montagna e denunciava quella che a suo giudizio sarebbe una gestione opaca del settore da parte degli uffici competenti. Gestione tesa a coprire un quadro di diffusa illegalità che va avanti da oltre un decennio. Da una parte, dunque, le cave fuorilegge che producono troppi detriti e smaltiscono le terre abusivamente; dall’altra, l’inerzia del Comune nel colpire gli abusi e il rifiuto ostinato di fornire i dati dei quantitativi estratti da ciascuna cava.

La risposta di Marco Tonelli, dirigente dell’Ufficio Marmo, a quanto pare non si è fatta attendere, e così anche la controreplica di Legambiente Carrara.
“Tonelli – si legge in un documento del 13 ottobre – ci rimprovera di non aver scorporato, dalla quantità dei detriti estratti da ciascuna cava, le quantità derivanti da lavori “accessori” alla coltivazione (cioè: preparazione dei fronti, messa in sicurezza, bonifiche). Gli chiediamo: come avremmo potuto farlo se lui non ci ha mai fornito il dato? (…) Se davvero Tonelli possiede quel dato, se davvero il Comune utilizza dati completi e veritieri, allora non si comprende perché lo scorso anno l’Ufficio Marmo, non sapendo come giustificare il dato delle molte cave che, per oltre dieci anni, hanno prodotto detriti per più del 90%, ha dichiarato che tali dati erano inattendibili perché, alla pesa comunale, i trasportatori mentivano sulla vera cava di provenienza dei detriti, indicandone una cava fasulla”.

Da Legambiente si chiedono a questo punto come sia stato possibile, sulla base di dati dichiarati inattendibili, rispettare le prescrizioni del PRAER (il Piano regionale delle Attività estrattive in vigore dal 2007) che richiede l’invio alla Regione di una specifica relazione annuale, al fine di assicurarsi che i blocchi estratti da ciascuna cava siano almeno il 25% del materiale estratto (lavori preparatori esclusi). “A questo punto – continua il documento – è legittimo dubitare che queste relazioni contenessero dati puntuali, cava per cava, distinguendo i detriti derivanti dalla coltivazione vera e propria da quelli provenienti da lavorazioni accessorie: è possibile che contenessero solo considerazioni generiche ed evasive”. E del resto nessuna di queste relazioni annuali è mai stata resa pubblica.

Il Difensore civico, al quale l’associazione si era rivolta, aveva scritto al responsabile dell’ufficio: «Le confermo il Suo obbligo, in qualità di dirigente e di responsabile del procedimento, di fornire alla Segreteria di Legambiente Carrara i dati relativi e dettagliati cava per cava dei quantitativi di materia­le escavato. A parere dello scrivente non è giustificato il rifiuto di mettere a disposizione dei dati che in base alla legge non sono sensibili e non violano la normativa sulla privacy». Aggiungendo poi “Si suggerisce, comunque, di fornire i dati richiesti cava per cava, divi­si per “canaloni”, omettendo il nome delle aziende estrattive, utilizzando un criterio numerico o alfabetico» Ma i dati, scrive Legambiente, sono stati forniti anonimi e non “divisi per canaloni”.

Come è stato possibile, si chiedono dall’associazione, certificare il rispetto del PRAER da parte di cave che, per dieci anni, hanno portato a valle solo detriti e neppure un blocco o viceversa solo blocchi e neppure un grammo di detriti? A nessuno è mai venuto il sospetto che i detriti fossero stati abbandonati al monte, in violazione delle prescrizioni dell’autorizza­zio­ne?

L’Ufficio Marmo – continua il documento – era perfettamente consapevole dell’abbandono abusivo delle terre di cava al monte ma avrebbe tollerato gli abusi e assicurato che, in ogni caso, non ci sarebbero state sanzioni.
“Siamo fortemente convinti – conclude – che la renitenza dell’Ufficio marmo a fornirci dati completi non abbia avuto nulla a che fare con le motivazioni addotte di privacy delle aziende, motivazioni chiaramente inconsistenti. Sia bensì riconducibile al timore che emergesse una gestione del marmo opaca e a danno degli interessi della comunità carrarese.

Continueremo, pertanto, a lottare per ottenere la piena trasparenza. Non per “una sterile polemica demagogica”, ma per esigenza civica di chiarezza sull’utilizzo delle risorse della comunità. La trasparenza, infatti (temuta solo da chi ha qualcosa da nascondere), consente alla cittadinanza attiva di avanzare proposte migliorative, dalla parte dei cittadini, come abbiamo sempre fatto e continueremo a fare”.