Il ricorso a oggetti e vestiti di seconda mano è uno degli strumenti più utili per rallentare i consumi superflui e lo spreco di risorse.
di Sandro Angiolini
Prima o poi dovevo scrivere qualcosa sul tema scelto per questa settimana, che credo interesserà tanti di voi. Lo spunto me l’hanno dato, quasi in contemporanea, un articolo apparso sul supplemento mensile di un noto quotidiano italiano e una notizia pubblicata invece sul sito web di un importante quotidiano spagnolo.
Il primo descrive come una piattaforma online europea per la vendita di oggetti di seconda mano stia programmando di espandersi; il secondo fa notare (con preoccupazione) che la moda del “fast fashion” (leggi moda veloce-usa e getta) si stia trasferendo al settore dell’arredo della casa, in evidente contraddizione con i principi base della sostenibilità.
La nostra società sta diventando sempre più schizofrenica? Non esattamente, ma di sicuro più polarizzata, cioè maggiormente divisa tra orientamenti culturali di segno opposto. Questo ci deve far riflettere ancora di più sulle nostre scelte quotidiane e di lungo periodo. Qui io mi sento di sostenere con forza il ricorso a oggetti e vestiti di seconda mano, quale uno degli strumenti più utili per rallentare il consumo “superfluo” e lo spreco di risorse. E spesso anche in grado di fornirci cose di grande qualità e gusto, che in seguito sono state soppiantate dalla concorrenza globale e adesso non si trovano più sul mercato.
Non è un settore marginale: le stime citate nell’articolo italiano parlano di un valore attuale di circa 33 miliardi di euro su scala mondiale (e solo per i beni personali di marca/lusso), che potrebbero diventare anche 370 miliardi entro il 2025.
Quello che dobbiamo chiederci secondo me è: stiamo facendo abbastanza per incentivare questo settore? Per esempio, è plausibile pensare di agevolare fiscalmente la vendita di prodotti di seconda mano? E, guardando all’altra faccia del tema del riuso, è possibile aggiornare i nostri smartphone e computer più facilmente, e a bassi costi, invece di doverli ricomprare ex-novo ogni due-tre anni?
Alcune norme e incentivi europei vanno già in questa direzione, ma non mi sembra che, a livello nazionale, si faccia abbastanza. A livello inconscio, come persone, siamo ancora troppo dipendenti dal meccanismo per cui l’acquisto di qualcosa di nuovo ci fa dimenticare alcuni nostri guai. E a livello sociale abbiamo ancora troppa paura che, se la produzione e il consumo di beni diminuiscono, la nostra qualità e tenore di Vita faccia lo stesso.
In realtà, provando a guardare le cose con un’altra prospettiva, è vero il contrario: se riuscissimo ad adattare e valorizzare gli oggetti che già abbiamo avremmo probabilmente più fiducia in noi stessi, e se spostassimo della manodopera dal settore della produzione a quello della riparazione/recupero non ci sarebbe alcuna crisi economica. Qualcuno lo può spiegare a Draghi?
OLTRE LA SIEPE è una rubrica settimanale che parte da eventi/notizie relative all’ambiente e all’economia su scala nazionale o internazionale per riflettere su come queste possono impattare sulla scala locale e regionale toscana.
Sandro Angiolini – Figlio di mezzadri, è agronomo ed economista e ha conseguito un Master in Politiche Ambientali presso l’Università di Londra (Wye-Imperial College). Ha scritto numerosi articoli sui temi dello sviluppo rurale e sostenibile e tre libri sull’agriturismo in Toscana. Per 29 anni funzionario presso amministrazioni pubbliche, svolge attualmente attività di consulente economico-ambientale e per lo sviluppo rurale integrato, in Italia e all’estero, oltre a varie iniziative formative e di comunicazione. È fortemente impegnato nel settore del volontariato ambientale e culturale.
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