In Italia su 2/3 delle aree da bonificare gli interventi devono ancora cominciare o sono tuttora in corso. E il primo report è arrivato solo nel 2020.
di Sandro Angiolini
Oggi parliamo di bonifiche. Non quelle di 90 o di 400 anni fa (allora si lavorava soprattutto per “recuperare” aree paludose) ma quelle che ancora rimangono da fare su tanti luoghi del nostro Paese. L’occasione me la fornisce la notizia, arrivata in settimana, che in Toscana verranno destinati a questo fine circa 45 milioni di euro provenienti in gran parte dal mitico PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Si tratta perlopiù di interventi medio-piccoli (si parte da appena 100.000 € fino ad arrivare a importi di 11 milioni).
Diciamolo pure: si tratta di un tema pressoché dimenticato. Nel corso di uno sviluppo economico del dopoguerra spesso frenetico e poco controllato si sono accumulati molti casi di inquinamento del suolo e delle acque causati dall’uso di sostanze più o meno tossiche e da una gestione superficiale di impianti industriali (e non solo). Altrettanto spesso le società responsabili di questi impianti sono poi fallite, lasciando ai sindaci e alle popolazioni dei territori circostanti grane di difficile soluzione.
Se a tutto questo si aggiungono la complessità delle norme e la lunghezza delle cause legali che hanno interessato i singoli casi ecco spiegato perché sui 2/3 della superficie delle aree regionali dove è necessario bonificare gli interventi debbano ancora cominciare o sono tuttora in corso.
È significativo, al riguardo, che il primo rapporto conoscitivo sullo stato di queste aree sia arrivato solo nel 2020 (si veda al proposito: Ispra – Lo stato delle bonifiche dei siti contaminati in Italia). E che la Toscana sia la seconda regione, in Italia, per numero complessivo di siti interessati, dopo la Lombardia; se invece si considerano i luoghi dove ancora si deve intervenire siamo al quarto posto, preceduti anche da Campania e Veneto.
Non sono belle notizie. Il problema, di solito, è la mancanza di finanziamenti per attuare le opere di bonifica. Ma, a monte, i problemi sono altri, che ho in parte già citato sopra. Appare evidente infatti che, soprattutto per questo tipo di problema ambientale, la prevenzione sia nettamente preferibile alla cura. Occorre investire quindi di più sul verificare le norme che regolano le attività produttive, sul sistema dei controlli e di monitoraggio degli impatti, sulle norme che accompagnano la gestione delle attività potenzialmente più pericolose (es. quelle sulle fidejussioni).
L’approccio legato all’economia circolare dovrebbe in questa prospettiva aiutare. Per fare un esempio, individuare collegamenti utili per il riciclo e riuso di materie secondarie tra un’impresa e un’altra assicurerebbe minori rischi nella loro gestione complessiva.
Certo, ci vogliono amministratori dotati di visione e volontà, tecnici competenti e capaci di adattare le tecnologie ai contesti specifici e cittadini capaci di dialogare (e di fare pressione) con entrambi: ce la faremo?
Con tanti Auguri di Buon Natale!
OLTRE LA SIEPE è una rubrica settimanale che parte da eventi/notizie relative all’ambiente e all’economia su scala nazionale o internazionale per riflettere su come queste possono impattare sulla scala locale e regionale toscana.
Sandro Angiolini – Figlio di mezzadri, è agronomo ed economista e ha conseguito un Master in Politiche Ambientali presso l’Università di Londra (Wye-Imperial College). Ha scritto numerosi articoli sui temi dello sviluppo rurale e sostenibile e tre libri sull’agriturismo in Toscana. Per 29 anni funzionario presso amministrazioni pubbliche, svolge attualmente attività di consulente economico-ambientale e per lo sviluppo rurale integrato, in Italia e all’estero, oltre a varie iniziative formative e di comunicazione. È fortemente impegnato nel settore del volontariato ambientale e culturale.
Aggiungi un commento