Una ricerca internazionale con capofila l’Università di Siena ha preso il via da un pezzo di polistirolo ritrovato nel 2016 sulle coste dell’isola antartica di re Giorgio.
SIENA – La nostra era forse passerà alla storia come l’età della plastica. La sua produzione è in crescita da oltre 50 anni ed è ormai onnipresente in tutti gli habitat marini del mondo, nessuno escluso.
“Ci sono prove che le microplastiche abbiano raggiunto le regioni più remote del pianeta”. Esordisce così l’articolo pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “Biology Letters” del team di ricerca internazionale che vede come capofila l’Università di Siena e che ha dato la prima evidenza di contaminazione da microplastiche in animali terrestri antartici.
Lo studio è stato condotto da Elisa Bergami e coordinato da Ilaria Corsi, ricercatrici del dipartimento di Scienze fisiche della terra e dell’ambiente dell’Università di Siena, con il contributo di Emilia Rota dello stesso dipartimento, Giovanni Birarda e Lisa Vaccari di ELETTRA Sincrotrone di Trieste e Tancredi Caruso dell’University College di Dublino.
Prima di questa osservazione “c’erano ancora dubbi sulla presenza della plastica nelle reti alimentari terrestri antartiche” – spiegano gli autori dello studio. La ricerca ha preso il via da un pezzo di polistirolo ritrovato nel 2016 sulle coste dell’isola antartica di re Giorgio (Shetland del Sud), ricoperto di alghe, muschi e licheni. A nutrirsi di questa microflora è un piccolo invertebrato lungo un paio di millimetri, il Cryptopygus antarcticus, del gruppo dei Collemboli, componente centrale della catena alimentare del suolo in tutte le aree del pianeta.
Le analisi sugli esemplari di Collemboli trovati sul materiale plastico – svolte con la tecnologia di imaging con spettroscopia infrarossa – hanno permesso di identificare tracce di polistirolo nell’intestino di questi organismi.
“Le microplastiche – spiega Ilaria Corsi – possono anche trasportare contaminanti e agenti patogeni, con un potenziale dannoso per organismi come i Collemboli e di conseguenza per altre specie della relativa rete alimentare. Studi di laboratorio su specie di Collemboli che abitano altre regioni del globo suggeriscono anche che l’esposizione a microplastiche possa provocare alterazioni nella loro crescita e riproduzione“.
“Considerata l’ampia presenza di Cryptopygus antarcticus nell’ambiente terrestre antartico – conclude Elisa Bergami – l’ingestione di microplastiche potrebbe contribuire alla loro dispersione lungo la catena alimentare nel polo sud con rischi per l’intero ecosistema. Altri studi saranno necessari per comprendere meglio le possibili conseguenze ambientali dovute alla presenza di microplastiche, ormai penetrate profondamente nel terreno e nelle reti alimentari”.
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