Una ricerca ha rilevato microfibre naturali e sintetiche spesso ignorate negli studi sulla microplastica. Novità dal fronte biodiversità forestale.
Redazione
18 novembre 2024
FIRENZE – I corsi d’acqua sono i più importanti vettori che trasferiscono le microplastiche verso il mare. I ricercatori dell’Ateneo fiorentino hanno condotto uno studio quantificandone presenza e dimensioni nelle acque dell’Arno. Il team, coordinato da Valentina Rimondi e Pilario Costagliola del Dipartimento di Scienze della Terra, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e l’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha prelevato e analizzato campioni di acque in sette punti di campionamento distribuiti dalla sorgente alla foce.
Il protocollo di campionamento e analisi è servito per distinguere la contaminazione di due gruppi di particelle: maggiori e inferiori a 60 micrometri. Oltre alle particelle di microplastiche, lo studio ha identificato nei campioni fluviali anche le microfibre tessili, naturali e sintetiche, spesso ignorate negli studi sulla microplastica. La ricerca stima che il numero di microparticelle totali che il fiume Arno scarica nel Mar Mediterraneo ogni anno abbia una massa complessiva di circa 30 tonnellate.
I risultati evidenziano come a Firenze le microparticelle totali raggiungano concentrazioni relativamente alte (fino a 6×104 particelle per litro). La frazione di particelle con dimensioni superiori a 60 micrometri è composta prevalentemente da fibre tessili che si originano probabilmente dal lavaggio di indumenti e tessuti di varia natura. Le concentrazioni più alte di microfibre sono state misurate a Firenze e i risultati indicano che l’Arno subisce una forte pressione derivante dalle attività svolte nella sua Piana (industria, turismo, servizi).
Sul fronte della tutela forestale i ricercatori dell’Ateneo fiorentino hanno scoperto invece che la diversità di specie e dimensioni degli alberi gioca un ruolo fondamentale nella resistenza delle foreste contro le minacce naturali e il cambiamento climatico.
È la valutazione a cui è giunto il team coordinato da Giovanni Forzieri, ricercatore in Sviluppo Sostenibile e Cambiamenti Climatici presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, impegnato in uno studio sull’importanza della varietà degli ecosistemi forestali nella tutela del patrimonio verde in Europa.“Abbiamo stimato la perdita di biomassa dovuta a disturbi naturali sulle foreste europee dal 1979 al 2018 – racconta Forzieri – integrando osservazioni di eventi di incendi, tempeste e parassiti, con dati satellitari in un sistema basato su machine learning. I risultati della nostra ricerca hanno mostrato che il miglioramento dell’eterogeneità dell’ecosistema potrebbe ridurre la perdita di biomassa di circa il 18%.
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