Lunga 12 metri, l’installazione di Edoardo Malagigi vuol denunciare l’inquinamento marino da plastica. Più di 5.000 ‘ondine’ di tetrapak per simulare la pelle del cetaceo.
di Gabriella Congedo (fonte ARPAT)
PISA – Gli scarti che incessantemente produciamo, in altre parole i rifiuti, nelle mani di un artista possono diventare una nuova tavolozza da usare al posto dei materiali tradizionali come il marmo, il legno e la pietra. Con effetti a volte sorprendenti.
L’artista in questione si chiama Edoardo Malagigi e ha insegnato per 40 anni all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Da tempo è impegnato a realizzare installazioni artistiche servendosi come materia prima dei rifiuti.
Lo ha fatto nel 2009 in Sardegna a Pula (CA) dove ha coinvolto la gente del posto nella costruzione di “Schillellè”, un pesce lungo 8 metri fatto con i rifiuti che il mare riporta sulla terra ferma: bottiglie, scarpe, reti, legni, plastiche varie. Schillellè ha le sembianze del muggine dal quale i sardi estraggono la pregiata “bottarga”.
Un’altra esperienza simile lo ha visto nel 2013 a Naha, la capitale dell’isola di Okinawa in Giappone. Qui migliaia di piccoli rifiuti arrivati al porto dall’oceano sono stati lavati e poi piegati con la tecnica degli origami, diventando fiori che sono stati applicati all’esterno di una sagoma lunga otto metri simile al dugongo, mammifero in via di estinzione che ancora frequenta le coste dell’isola.
Adesso il professore, insieme a un gruppo di volontari, sta costruendo un capodoglio lungo 12 metri, delle dimensioni reali di questo mammifero marino che vive nel Santuario dei cetacei Pelagos fra la Liguria, la Corsica e la Toscana. Il quartier generale è un capannone di Herambiente nella zona industriale di Pisa.
Lo scheletro del cetaceo è stato fabbricato mirabilmente da un fabbro, un artigiano locale. Per la pelle invece Malagigi e i volontari, tutti artisti o studenti di Belle arti, Katerine da Chicago, Toni da Barcellona, Silvia da Carrara e Irene da Firenze, usano dei rifiuti.
Si tratta di tetrapak usati, i diffusissimi contenitori di latte e bevande. Gli artisti ricavano da ciascun contenitore due “ondine” che poi vengono applicate sullo scheletro usando della colla a caldo. Ne occorreranno più di cinquemila di queste ‘ondine’, che vengono disposte come tegole su un tetto, perché l’installazione artistica sarà esposta all’aperto e in questo modo la pioggia potrà scorrere lungo la ‘pelle’ del capodoglio senza danneggiarlo.
Perché un capodoglio? Per richiamare l’attenzione sul Santuario dei cetacei Pelagos – spiega Edoardo Malagigi – dove questi mammiferi vivono insieme a delfini e balene, e sull’inquinamento del mare. Quanto all’impiego dei rifiuti, come i tetrapak usati, si tratta di una scelta culturale fortemente voluta dall’artista, che in questo modo vuol manifestare il suo impegno a tutela dell’ambiente sposando in pieno la logica dell’economia circolare.
Il capodoglio sarà esposto per la prima volta a settembre all’Orto Botanico di Firenze, dove rimarrà un mese per poi andare a Ecomondo di Rimini e a Montecarlo, dove si trova la sede del Santuario Pelagos.
Ma il suo viaggio proseguirà nei Comuni rivieraschi perché, come spiega Edoardo Malagigi, “è necessario riflettere e attivare una pedagogia che incroci l’arte, ma non solo, per raccontare ai bambini e alle persone in genere che, se questo capodoglio è fatto di rifiuti, nella realtà questi animali il tetrapak e le altre plastiche li mangiano davvero e ne possono anche morire”.
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