Uno studio di Greenpeace nel Mar Tirreno rivela che le frequenze maggiori di ingestione di fibre tessili e microplastiche sono state rilevate nei pesci dell’Arcipelago Toscano.
Gli interferenti endocrini contenuti nelle fibre tessili e nelle microplastiche se assorbiti con gli alimenti possono causare gravi danni all’organismo. Ma il più delle volte non ce ne accorgiamo perché in dosi minime non danno particolari disturbi.
Greenpeace, insieme all’Università Politecnica delle Marche e all’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del CNR di Genova, ha esaminato oltre 300 organismi rappresentativi di pesci, crostacei e molluschi presenti abitualmente sulle nostre tavole come cozze, scampi, scorfani, acciughe e sgombri.
I risultati di questo studio confermano la presenza di microplastiche in queste specie marine che consumiamo quotidianamente. “La plastica non ce la mangiamo perché si concentra nell’intestino – affermano i ricercatori – e il pesce abitualmente lo consumiamo eviscerato, ma l’allarme rimane e non va in alcun modo sottovalutato”.
Dallo studio emerge che il 35 per cento dei pesci e degli invertebrati raccolti nel Mar Tirreno centrale, durante il tour May Day Sos Plastica condotto nella primavera 2019, aveva ingerito fibre tessili e microplastiche (ovvero frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri). Le frequenze maggiori sono state trovate proprio nei pesci provenienti dalle isole dell’Arcipelago Toscano, nell’area del Santuario dei Cetacei.
I dati mostrano anche un lieve peggioramento delle frequenze di ingestione di microplastiche (35%) rispetto a quelle osservate durante la campagna del 2017 (30%) e a quelle riferita agli organismi del Mar Adriatico (27%). Le frequenze di ingestione di microplastiche più elevate (fino al 75% degli organismi) sono state trovate dunque nei campioni provenienti dalle isole dell’Arcipelago toscano, nell’ordine: Giglio, Elba e Capraia. Le più basse nei campioni raccolti in Sardegna.
La ricerca ha dimostrato inoltre che le specie demersali come gallinella, scorfano, pagello fragolino e razza, che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, presentano le frequenze di ingestione di microplastiche maggiori (75-100%) rispetto alle specie pelagiche in quasi tutti i siti indagati.
Questa minaccia pesa sul Santuario dei Cetacei in misura anche maggiore di altre aree campionate perché su questi fondali, come è noto, si trovano ancora decine di tonnellate di rifiuti in plastica che rischiano di deteriorarsi e trasformarsi in microplastiche, aggravando la contaminazione.
Fonte: Greenpeace Italia
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