Rinnovabili

Geotermia, l’esperto: un futuro a emissioni zero è possibile

La centrale geotermica di Bagnore 4
La centrale geotermica di Bagnore 4

Intervista al professor Daniele Fiaschi: “Soluzioni alternative per non inquinare ci sono, anche se più costose. Il progetto di Castelnuovo potrà fare da apripista a una nuova era geotermica”.

Per gentile concessione di ARPAT pubblichiamo un estratto dell’intervista a Daniele Fiaschi, professore associato di Energie Rinnovabili e Sistemi Energetici all’Università di Firenze.
Le domande riguardano soprattutto due aspetti: la rinnovabilità della risorsa geotermica e le tipologie di impianti.
Quest’intervista si inserisce nel percorso informativo intrapreso da ARPAT sul tema della geotermia, nell’ambito del quale è stato intervistato anche il professor Riccardo Basosi dell’Università di Siena.

Daniele Fiaschi
Daniele Fiaschi

Alcuni mettono in dubbio che la geotermia sia effettivamente una fonte energetica rinnovabile, è così? In cosa è preferibile rispetto alle tradizionali fonti fossili?

 “Le fonti energetiche rinnovabili sono quelle in grado di rigenerarsi grazie a processi naturali, continuamente alimentati dalle tre fonti base, sostanzialmente inesauribili: solare, geotermica e gravitazionale. Da questa definizione è evidente come la geotermia sia una fonte rinnovabile.
È però anche vero che una caratteristica delle fonti energetiche rinnovabili è la loro disponibilità distribuita praticamente in tutte le zone della terra, ma in concentrazioni molto minori rispetto ai combustibili tradizionali. Ne consegue una bassa densità energetica, spesso accompagnata dalla disponibilità non continua nel tempo.
Da questo punto di vista la geotermia, almeno quella ad alta densità energetica, è una rinnovabile anomala: è infatti disponibile solo in poche aree geografiche della Terra, una delle quali ricade nel territorio toscano. Non solo: laddove presente, la risorsa geotermica garantisce anche una disponibilità praticamente continua nel corso dell’anno (gli impianti geotermoelettrici lavorano mediamente più di 7000 ore/anno) e nelle diverse stagioni, a differenza di altre fonti rinnovabili, come quella solare, che riesce difficilmente a garantire più di 1500 ore di disponibilità annua.
Quindi, densità energetiche elevate e disponibilità praticamente continue, ma solo in particolari e limitate zone della Terra, conferirebbero alla geotermia le caratteristiche tipiche di energie non rinnovabili, come il petrolio, alle cui tecnologie di rilievo e perforazione fanno riferimento, almeno in parte, anche quelle di prospezione geotermica. Per analogia col petrolio si potrebbe parlare di giacimenti geotermici che, se trovati, garantiscono densità energetiche elevate e disponibilità temporali praticamente continue”.

 E allora, dove stanno gli aspetti rinnovabili (e non) della risorsa geotermica?

“In parole semplici potremmo dire che la rinnovabilità della risorsa geotermica sta nella fonte: ovvero la “necessità” della Terra di raffreddarsi continuamente e lentamente, a causa di uno stoccaggio termico nel nucleo che raggiunge circa 4000 °C di temperatura. Da questo punto di vista, quindi, quella geotermica è sicuramente una fonte rinnovabile.
Quello che invece può limitare la rinnovabilità della risorsa geotermica è il vettore termico che, in presenza di opportuni “pertugi” all’interno della crosta terrestre che caratterizzano le zone della geotermia, consentono di alimentarla da parte delle acque piovane e renderla disponibile. Questo vettore è il fluido geotermico, sostanzialmente acqua o vapore stoccato nei cosiddetti serbatoi geotermici. Senza questo vettore il trasporto di calore endogeno alla superficie terrestre, affidato alla sola conduzione termica, sarebbe poco potente (al massimo 100 – 110 W/m2 in zone vocate alla geotermia).
È la buona conoscenza del serbatoio e la sua “coltivazione”, mediante un’adeguata reiniezione del fluido usato negli impianti, che rendono sostenibile lo sfruttamento della risorsa geotermica. Senza questo approccio, con l’uso intensivo necessario per il funzionamento delle centrali geotermoelettriche, il serbatoio viene progressivamente ”consumato”, finendo per esaurirsi”.

 Gli impianti geotermici presenti in Toscana sono tutti del tipo “tradizionale”. Si sostiene da più parti che questa sia l’unica soluzione possibile, cosa ci può dire in proposito?

“Di sicuro l’uso diretto del fluido geotermico è quello più conveniente; consente di spremere al massimo la risorsa, ottenendo rendimenti più alti. Le soluzioni alternative fanno capo invece ai cicli binari; si tratta di impianti in cui il geofluido “non evolve in macchina”, ma cede semplicemente calore a un secondo fluido che lavora in ciclo chiuso nell’impianto termoelettrico, operando da caldaia. Dopodiché, una volta raffreddato, il fluido geotermico viene reiniettato nel sottosuolo, non entrando mai in contatto con l’ambiente. Proprio questa mancanza di contatto con i componenti dell’impianto termoelettrico rappresenta la croce e la delizia della tecnologia binaria. Croce perché questo non contatto tra geofluido e impianto riduce le prestazioni termodinamiche; delizia perché questa mancanza totale di contatto ne evita la fuoriuscita nell’ambiente.
Il prezzo da pagare è però un minore rendimento degli impianti e un maggior costo di produzione.
Una recente ricerca dell’Università di Firenze, applicata all’impianto di Bagnore 3, mostra come passando in ipotesi dalla configurazione attuale, dotata dell’unità AMIS di abbattimento delle emissioni, a quella di ciclo binario a totale reiniezione, il rendimento del potenziale della risorsa passa dal 43% al 32%. In parallelo, il consumo di geofluido passa da 19 a 25 kg per kWh di elettricità prodotta. D’altra parte, il ciclo binario a totale reiniezione prospetta emissioni nulle di tutti gli inquinanti, a fronte di 380gr di CO2, 1,2gr di acido solfidrico e 1,3 mg di mercurio per kWh prodotto.
Se infatti le emissioni con il sistema di abbattimento AMIS sono ridotte in maniera consistente, le dimensioni e l’operatività degli impianti, unitamente ai periodi di fermo dell’AMIS stimabili in qualche centinaio di ore/anno, portano a un rilascio in taluni casi non trascurabile di inquinanti in atmosfera. Inoltre, nonostante le drastiche riduzioni atmosferiche garantite dall’AMIS, non è detto che non sfuggano comunque quantità rilevanti di emissioni anche per altre vie: è il caso dell’ammoniaca, dell’arsenico e del mercurio, questi ultimi ritenuti da qualcuno anche responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere.
Questo non accadrebbe con gli impianti a sistema binario, perché si reimmetterebbe sostanzialmente tutto il fluido con i suoi inquinanti da dove si è prelevato.
Siamo di fronte al classico caso in cui la tecnologia pulita ha i suoi costi termodinamici, che si riflettono direttamente anche su quelli economici, con una minore convenienza delle soluzioni binarie rispetto all’uso diretto del fluido geotermico: il gestore si trova a perdere dal 10 al 20% del potenziale produttivo”.

 È stato presentato un progetto per la realizzazione di un impianto geotermico con sistema binario a Castelnuovo Val di Cecina, pensa che sia una via praticabile?

“Penso di sì. Restano ovviamente gli innegabili svantaggi di cui ho parlato.
Ma un progetto geotermico a reiniezione totale, di cui ci occupiamo come gruppo di ricerca presso l’Università di Firenze, rappresenta un sostanziale passo avanti rispetto alla situazione attuale. Chiaramente, come ho più volte ricordato, tutto questo si paga, ma è il prezzo di una tecnologia pulita e sostenibile, che non può essere ignorata in nome di scelte solo economicamente più convenienti. Anche le autorità dovrebbero indirizzare i gestori verso soluzioni più innovative e a minore impatto ambientale”.

 Quale dovrebbe essere allora, dal suo punto di vista, il futuro per la geotermia in Toscana?

“Il possibile futuro è rappresentato da soluzioni binarie a totale reiniezione, anche con cicli di potenza più evoluti e spinti il più possibile verso alte efficienze.
Sicuramente non ci si può attendere una riconversione degli impianti esistenti nel breve–medio termine, specialmente per le centrali amiatine di recente costruzione come Bagnore 3 e Bagnore 4.
Il progetto di Castelnuovo, se dimostrerà la sua efficacia, potrà fare da apripista a una nuova era geotermica. Reimmettendo tutto il fluido e i suoi componenti nel bacino da cui si è prelevato, le emissioni atmosferiche e l’eventuale inquinamento delle falde dovrebbero essere evitati, oltre a garantire un’adeguata e sostenibile coltivazione della risorsa, essenziale per mantenerne le caratteristiche di rinnovabilità.
Altre soluzioni, pure investigate dal nostro gruppo di ricerca, sono quelle ibride, che combinano la geotermia di media–bassa entalpia ad altre fonti rinnovabili, come quella solare”.

Cosa ne pensa delle preoccupazioni che esprimono i vari comitati di cittadini che contestano gli impianti esistenti e quelli possibili per il futuro, anche di tipo binario?

“Riguardo agli impianti esistenti, un’opera di informazione mirata ed efficace, che mostrasse in termini semplici, ma con dati reali dati espressi in maniera chiara, le effettive emissioni degli impianti e i loro impatti sull’ambiente potrebbe alleviare molto le tensioni, spesso causate da non conoscenza (o, peggio, da una conoscenza o interpretazione sbagliata) dei dati e del loro impatto.
Per quanto riguarda gli impianti del futuro la via più promettente è quella dei cicli binari a totale reiniezione, come il progetto proposto per Castelnuovo. O comunque, se si volesse continuare a utilizzare il fluido geotermico “in macchina”, soluzioni che ne evitano il contatto con l’ambiente ci sono e sarebbero praticabili con tecnologie già disponibili. Il problema resta la minore resa termodinamica e il conseguente maggior costo, che finora ha spinto i gestori, in larga maggioranza, a optare per le soluzioni classiche. Da questo punto di vista però il progetto di Castelnuovo potrebbe rappresentare un punto di svolta essenziale, dando l’avvio a una nuova era in questo campo o almeno aprendo la strada a una nuova opzione tecnologica. Ma non dobbiamo dimenticare che non esistono attività umane – e lo sfruttamento di risorse rinnovabili non fa eccezione – a impatto ambientale completamente nullo”.

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