Il presidente nazionale Stefano Ciafani: “Lo avevamo annunciato che non ci saremmo rassegnati. Le Apuane sono una priorità nazionale”.
di Gabriella Congedo
28 settembre 2024
CARRARA – Cave, sarà il Tar della Toscana a decidere se i dati sull’estrazione di ciascun sito siano o meno una “informazione ambientale” alla quale tutti i cittadini hanno diritto ad accedere.
Da anni il circolo Legambiente Carrara chiede che questi numeri siano resi pubblici in piena trasparenza, cava per cava. Ma le varie richieste di accesso civico hanno ottenuto solo mezze risposte con dati comunicati in forma “anonima”, cioè senza indicare il titolare dell’autorizzazione. L’ultima richiesta dello scorso maggio, sottoscritta anche da Legambiente nazionale e Legambiente Toscana, non ha avuto miglior fortuna.
A questo punto non rimaneva che il ricorso. Qualche giorno fa i legali di Legambiente Diego Aravini del foro di Roma e Micaela Chiesa e Umberto Fantigrossi del foro di Milano lo hanno notificato al Comune di Carrara e ad alcuni dei “controinteressati” (le imprese che si erano opposte alla richiesta di accesso).
“Lo avevamo annunciato – spiega il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani – di fronte a una risposta ancora una volta parziale non ci saremmo rassegnati perché le Apuane sono una priorità nazionale e la gestione delle cave di marmo di Carrara deve essere trasparente nell’interesse di tutti, comprese le aziende che operano correttamente in un settore così delicato da tutti i punti di vista, ambientali, sociali ed economici».
Che l’impatto ambientale delle attività estrattive sia insostenibile (come i fiumi inquinati dalla marmettola) è evidente. Così come l’urgenza di rendere davvero trasparente la gestione di un settore economico caratterizzato da profitti altissimi e costi sociali e ambientali ancora più alti. I dati raccolti finora da Legambiente Carrara e riuniti in un dossier lasciano pochi dubbi.
Dal 2005 al 2022 nelle 76 cave analizzate sono state estratte oltre 68 milioni di tonnellate di materiali, di cui soltanto il 22,8% è composto da blocchi di marmo e il 77,2% da detriti (utilizzati perlopiù nell’industria del carbonato di calcio). Sono addirittura una decina le cave con una resa in blocchi inferiore al 10%.
Nel ricorso i legali di Legambiente sostengono l’illegittimità della motivazione espressa dal Comune per giustificare l’accesso parziale ai dati (resi “anonimi”, e quindi inservibili per risalire alle quantità estratte da ogni singola cava): ossia la “tutela degli interessi economici e commerciali”.
“La legge in realtà fa riferimento a specifiche ‘informazioni commerciali e/o industriali’ – spiega una nota dell’associazione ambientalista – ma in ogni caso il Comune avrebbe dovuto anzitutto motivare in modo puntuale la sussistenza di un pregiudizio reale e concreto, non limitandosi a prefigurare il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta”.
Per Legambiente è invece preponderante l’interesse pubblico e le risorse naturali in questione – le montagne – sono a tutti gli effetti beni comuni.
La decisione del Comune di Carrara di non rendere pubblici i dati cava per cava era già stata criticata dal Difensore civico della Regione Toscana Lucia Annibali che nell’accogliere il ricorso presentato da Legambiente aveva invitato l’amministrazione comunale a “rivedere il procedimento”. Un invito caduto nel vuoto.
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