L’Ateneo di Firenze partecipa a un progetto per creare terre galleggianti e abitabili nei mari. Non sarebbe meglio occuparci della terra che già abbiamo?
di Marcello Bartoli
10 giugno 2024
FIRENZE – E’ notizia di questi giorni che è appena partito un progetto europeo coordinato da Lorenzo Cappietti, docente del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Firenze, che contempla l’utilizzo dei mari per sopperire alla “fame di spazio” generata dal sovrappopolamento e dalla conseguente carenza di terre abitabili. FAMOS, questo il nome attribuito al progetto, propone e sviluppa i concetti innovativi di isole galleggianti modulari per siti marittimi offshore, in acque relativamente profonde e completamente esposti all’azione dei moti ondosi. Si svolgerà principalmente in Grecia, Italia, Polonia e Norvegia, così da esplorare l’Unione Europea dai confini meridionali a quelli settentrionali. Con una durata di 36 mesi, FAMOS dispone di un budget complessivo che ammonta a 1 milione 200.000 euro, di cui 500.000 destinati a Unifi.
“Il passo in avanti che il progetto intende compiere è realizzare una tecnologia che permetta lo sfruttamento di aree marine lontane dalla costa in alti fondali – ha annunciato Cappietti – completamente esposte a moti ondosi potenzialmente devastanti”. Ma l’umanità è davvero pronta a vivere sulla superficie dell’oceano per far fronte alla mancanza di risorse utilizzabili? Come possiamo creare spazi offshore multiuso sostenibili, affidabili e socialmente accettabili?
Premesso che ogni progetto di ricerca serio e di buon senso è sempre il benvenuto, forse sarebbe utile dedicare risorse preziose per rigenerare dal punto di vista ecologico nostra Madre Terra. La ricerca di nuove frontiere, nello spazio come in luoghi inesplorati, fa parte della natura umana, certo, ma potrebbe suonare un po’ come una provocazione preoccuparsi di creare nuove terre galleggianti abitabili mentre stiamo abbandonando la “scialuppa” terrestre sulla quale viviamo. Prima di creare isole galleggianti vivibili e autonome da un punto di vista alimentare ed energetico non dovremmo preoccuparci di far tornare il pianeta alla sua purezza originaria?
Nel frattempo però, osserverà qualcuno, il tema del sovrappopolamento non può essere sottovalutato. Certo è vero che negli ultimi anni, tra cause più o meno naturali, pandemie, guerre e carestie ci stiamo impegnando a fondo per “invertire” la rotta e garantire che la popolazione mondiale non cresca oltre misura. Battute a parte, ci sia consentito nutrire almeno qualche dubbio sull’utilità di questi progetti mentre la Terra rischia di soccombere a causa del cambiamento climatico. Ci è stata donata una casa meravigliosa ed è nostro dovere sentircene parte, al pari di tutte le altre forme di vita, rispettando la natura e salvaguardando la nostra stessa esistenza.
Più che un problema di nuovi spazi da abitare o da colonizzare, forse è meglio invertire il trend distruttivo intrapreso, imparare a redistribuire meglio la ricchezza, correggere le deviazioni di un capitalismo che fagogita il nostro tempo, la pace, finanche la vita stessa. Fino a quando non avremo imparato a pensarci e a percepirci come un’unica entità vivente, piante e animali compresi, sarà difficile invertire la rotta. Mi sembra utile ricordare a tal proposito il messaggio del grande giornalista e scrittore Tiziano Terzani: il pensiero del non dualismo, del “tutto è uno” che rompe la tradizione scientista e materialista della modernità e suggerisce un nuovo modello di vita lontano dalle logiche del consumismo, dell’avidità e del successo a ogni costo, in una nuova visione che riconcilia il pensiero orientale con quello occidentale.
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