La ricerca coordinata dall’Università di Pisa fa luce sul comportamento dei cavalli allo stato naturale, una condizione di cui si conosce molto poco.
Redazione
30 maggio 2024
PISA – Perché e come giocano i puledri allo stato naturale? Allo stato attuale non ne sappiamo molto. Per cercare di rispondere a questa domanda un branco di giovani cavalli allo stato semi-brado del Parco di San Rossore è stato al centro di una ricerca dell’Università di Pisa.
“Nonostante l’impatto economico e sociale che questo animale ha per tutti noi si sa poco circa il suo comportamento allo stato naturale – dice la professoressa Elisabetta Palagi, coordinatrice della ricerca – La maggior parte degli studi riguarda cavalli in stalla e spesso sono rivolti a risolvere i problemi del cavaliere più che del cavallo”.
Le ricercatrici Veronica Maglieri e Giuliana Modica dell’Università di Pisa e Chiara Scopa dell’Università di Parma, guidate da Elisabetta Palagi, hanno registrato e analizzato i comportamenti di 13 puledri dalla nascita fino a sei mesi di età. È emerso che i differenti tipi di gioco dipendono non solo dalle diverse fasi di sviluppo del puledro ma anche dall’ambiente sociale in cui questo cresce.
“Così come accade anche nei nostri bambini il gioco si fa sempre più complesso con il passare del tempo – spiega Palagi – I giochi solitari, come mordere e lanciare oggetti o saltare, scalciare e girare su sé stessi, e quelli rivolti alla madre (che spesso fa molta fatica a rispondere!) compaiono e si affermano molto precocemente, suggerendo come esplorazione ed esercizio fisico già nei primi giorni di vita siano cruciali per raggiungere un certo livello di maturazione psicomotoria”.
Attraverso il gioco i puledri mettono alla prova le proprie capacità e saggiano quelle dei loro coetanei. I puledri di madri di alto rango, cioè con una posizione dominante all’interno del branco, erano più coinvolti nel gioco sociale e capaci di migliore autocontrollo quando giocavano con puledri di madri di basso rango. Questa capacità, spiegano le ricercatrici, migliorava la reciproca partecipazione al gioco. Inoltre i giochi erano spesso intervallati da reciproche toelettature del pelo (grooming) che contribuivano a prolungare le sessioni di gioco e a renderle più appaganti. Sembra quindi che il gioco nei puledri non sia legato alla necessità di migliorare la propria posizione gerarchica nel gruppo, peraltro già ereditata dalle madri.
“Negli esseri umani e nelle grandi scimmie non esiteremmo ad attribuire queste tattiche a competenze cognitive complesse – conclude Palagi – Sebbene siamo lontani dall’essere in grado di comprendere appieno il ruolo della cognizione nel gioco sociale è arrivato il momento di considerare altre specie modello, come il cavallo appunto, se vogliamo ipotizzare nuovi scenari sull’evoluzione del comportamento ludico nei mammiferi. Questa tipologia di studio aiuta a capire meglio le tappe naturali di sviluppo e di complessità di questi meravigliosi animali e le informazioni che ne derivano possono essere utilizzate per migliorarne la gestione anche nelle scuderie”.
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