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Calabroni e Vespa velutina, l’Ateneo di Pisa prova a contenerne l’avanzata

Vespa velutina e api (crediti: Antonio Felicioli)
Vespa velutina e api (crediti: Antonio Felicioli)

Un team internazionale guidato dall’Università di Pisa ha per la prima volta sequenziato e paragonato il genoma di alcune specie per gestire le invasioni.

 

Redazione
26 aprile 2023

PISA – La diffusione di specie aliene è una delle principali cause di perdita di biodiversità. Originaria dell’estremo oriente (Cina del sud, India del nord, penisola indocinese, arcipelago indonesiano), il calabrone dalle zampe gialle Vespa velutina nigrithorax era sconosciuta in Europa fino al 2004, anno in cui è stata avvistata per la prima volta in Francia. Dal 2012 è arrivata anche in Italia e la sua presenza sta aumentando in Liguria e Toscana, oltre a segnalazioni in Piemonte, Lombardia. Emilia Romagna e Veneto. A causa della sua flessibilità ecologica, rapidità di dispersione e abilità nel predare le api direttamente negli alveari questo calabrone desta grande preoccupazione dal punto di vista ecologico ed economico. La sua puntura può essere dolorosa e molto pericolosa, sia per l’uomo che per gli animali.

Un aiuto può arrivare dalla genetica. Un team internazionale ha per la prima volta sequenziato e paragonato il genoma di alcune specie di calabroni per capire i motivi del successo ecologico di questi insetti e identificare le possibili strategie per contenerli. La ricerca pubblicata su Scientific Reports è stata condotta dall’Università di Pisa nell’ambito di un ampio partenariato che comprende l’University College London e l’Università di Firenze. Il genoma di Vespa crabro, una specie nativa dell’Europa, e Vespa velutina è stato quindi sequenziato e paragonato a quello di Vespa mandarinia, una specie anch’essa nativa dell’Asia, arrivata recentemente negli Stati Uniti, dove potrebbe rappresentare un rischio per la biodiversità locale.

“In quanto predatori, i calabroni sono dei ‘disinfestanti naturali’ nei loro ecosistemi nativi, aiutando a regolare varie popolazioni di insetti che possono essere localmente nocivi, come i bruchi di alcune farfalle e falene – spiega Alessandro Cini, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – e tuttavia come specie invasive hanno talvolta effetti economici, ecologici e sociali molto negativi negli habitat che colonizzano”.

Capire perché i calabroni sono invasori così efficaci è dunque fondamentale per gestire le invasioni future e Cini, insieme ad altri autori dello studio e ad alcuni colleghi dell’Ateneo pisano, fa parte della rete nazionale Stopvelutina, un network di studiosi e portatori di interessi che da anni ne monitora la diffusione: “Il nostro studio suggerisce per esempio che i calabroni possano avere numerosi geni coinvolti nella rilevazione dei segnali chimici dell’ambiente e questo potrebbe renderli particolarmente bravi a cacciare nuove prede in ambienti non nativi, dove spesso arrivano trasportati accidentalmente dall’uomo. Ovviamente, questi dati genetici andranno integrati con analisi etologiche ed ecologiche sul campo”.

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