Due dell’isola del Giglio e due dell’Amiata. Ora sono iscritte nel Repertorio regionale delle varietà a rischio estinzione e andranno “custodite”.
Redazione
9 febbraio 2023
Rischiavano di scomparire per sempre e invece sono state recuperate. Si tratta di quattro antiche varietà di sementi, il Cavolo Torso e il Pomodoro di scasso dell’Isola del Giglio, che insieme al fagiolo borlotto del minatore e al granturco di Castell’Azzara sono adesso iscritte nel Repertorio regionale delle varietà a rischio estinzione e andranno custodite dai cosiddetti “salvatori di semi”.
Al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che ha portato avanti un progetto finanziato con il supporto dell’Università di Pisa, con l’aiuto e l’interessamento del Circolo Culturale Gigliese, va il merito di aver recuperato il Cavolo Torso e il Pomodoro da Scasso sull’Isola del Giglio.
È stata invece la Comunità del cibo e dell’agrobiodiversità dell’Amiata, grazie a un progetto realizzato con l’Università di Pisa, a salvare il “fagiolo borlotto del minatore” e il “granturco di Castell’Azzara”.
Ogni seme una storia
Cavolo torso e Pomodoro di scasso – Il cavolo torso veniva coltivato sull’Isola del Giglio “ab immemorabile” in piccoli orti familiari. Il rischio di estinzione è alto sia per il numero dei coltivatori sia per la loro età avanzata. Al rischio contribuisce anche la limitata dimensione delle superfici coltivate e l’assenza di un sistema di conservazione che da oggi può partire grazie all’iscrizione al Repertorio regionale.
Sul pomodoro di scasso si racconta che un sacerdote gigliese del ‘700, Domenico Aldi, soprannominato Fontana, avesse la passione di salare le acciughe e conservarle in giarrette, secondo la tradizione isolana. Una volta all’anno andava a Firenze in un convento di frati a cui faceva omaggio delle sue acciughe e riceveva in cambio prodotti della campagna. Una volta i frati gli regalarono dei semi di pomodoro che non avevano necessità di essere annaffiati purché fossero seminati in terreno ben dissodato: una caratteristica per l’appunto del terreno agrario del Giglio, isola molto siccitosa. Così si pensò di piantare i semi nelle vigne che godono di una zappatura profonda che al Giglio è chiamata “scasso”. Nacquero così i pomodori che furono detti “Pomodori di scasso” o “Pomodori di Fontana”. Da allora i pomodori introdotti da don Domenico Aldi vengono coltivati non negli orti ma nelle vigne. I frutti sono grossi di color rosso intenso e vengono impiegati soprattutto per le conserve. La varietà è stata fino a oggi coltivata da alcuni agricoltori dell’isola che hanno conservato nel tempo questa tipicità locale.
Fagiolo borlotto del minatore e Granturco di Castell’Azzara – Il fagiolo in questione è stato conservato e da sempre coltivato da un agricoltore di Castell’Azzara, Alberto Lazzeri – oggi deceduto – e dalla sua famiglia alla quale il seme è stato tramandato dalle generazioni precedenti. Grazie alla costanza della famiglia, che lo ha riprodotto e custodito nel tempo, alcuni agricoltori della Comunità del Cibo dell’Amiata hanno ripreso a coltivare questo fagiolo e ad apprezzarne sempre di più le caratteristiche qualitative.
Il fagiolo borlotto del minatore veniva coltivato nei “granturcai” in consociazione con il granturco locale che fungeva da tutore alla pianta di fagiolo ed entrambe venivano raccolte a mano.
Come tutti i fagioli borlotti, anche questo è indicato nelle zuppe e impiegato in un tipico piatto della tradizione locale chiamato “minestra con i ceciarelli” fatti con l’impasto di acqua e farina di grano duro.
Il granturco di Castell’Azzara, insieme alla castagna, è stato fin dalla metà del Settecento la principale fonte di sostentamento degli abitanti dell’Amiata. Lo è rimasto fino alla prima metà del Novecento quando fu quasi completamente sostituito da altri cereali, principalmente dal grano. La coltivazione del granturco venne così quasi del tutto interrotta in seguito anche alla dismissione dell’attività mineraria con conseguente spopolamento delle aree montane e sub-montane del territorio amiatino. Grazie alla tenacia e lungimiranza di un agricoltore di Castell’Azzara, Silvio Papalini, i semi di questa varietà autoctona sono stati mantenuti nel tempo fino a oggi.
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