Per abbattere l’inquinamento il governo olandese fa una scelta drastica: ridurre di 1/3 il bestiame degli allevamenti zootecnici entro il 2030.
di Sandro Angiolini
14 agosto 2022
Strano destino quello delle mucche: venerate da millenni in India e prossime a un’uccisione di massa in uno dei Paesi ritenuti più civili d’Europa, cioè l’Olanda. Cerco di spiegarmi meglio.
L’Olanda è la nazione a più alta densità di allevamenti zootecnici dell’Unione Europea, sia in rapporto alla superficie che ai suoi abitanti. Non solo: le razze suine, bovine e di galline allevate sono poche e selezionate quasi solamente in base alla loro produttività, intesa come accrescimento veloce di peso. Il tutto crea un flusso di liquami e di scarti responsabile di un notevole inquinamento delle acque e del suolo. Insomma, non un quadro ideale per un Paese che si vuole proporre come esempio per la sostenibilità ambientale.
Da qui la recente proposta di legge governativa (il cui premier è in carica da 12 anni – non chiedetemi come abbia fatto) di ridurre entro il 2030 di circa 1/3 il totale del bestiame allevato in Olanda, con indennizzi agli allevatori pari a 25 miliardi di euro: più o meno l’importo di una legge finanziaria italiana pre-Covid.
Una notizia del genere non può che suscitare diverse riflessioni:
– conoscendo l’usuale serietà professionale dell’approccio ai problemi degli Olandesi (la riduzione è stata stimata in base a parametri scientifici) non dubito che la proposta sia ben motivata. Ma mi sorge un dubbio: com’è che finora le normative vigenti in materia di tutela ambientale non hanno funzionato? Eppure dovevano valere anche per gli agricoltori e per le zone più sensibili all’inquinamento. Forse la macchina amministrativa olandese sta perdendo colpi?
– presentare una proposta del genere senza accompagnarla con quella di un modello imprenditoriale alternativo (e più sostenibile) nel settore zootecnico mi lascia perplesso: è solo colpa dei media che non lo hanno riportato nei loro servizi o è miopia culturale da parte del Governo? È chiaro che se a un allevatore minacciano di chiudere nel giro di pochi anni la sua stalla senza altre opzioni la reazione è molto negativa;
– la notizia avrebbe in realtà un paio di risvolti positivi che nessun media ha menzionato: diminuire la produzione di carne implica anche una rivalutazione tendenziale del suo prezzo di vendita (con maggiori guadagni per gli allevatori che rimangono attivi) e riconduce anche al tema dell’auspicabile minor consumo di carne nell’alimentazione degli Europei (consigliato non solo da me ma soprattutto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità). Il secondo tema è di grande attualità in quest’anno di siccità perché molti si sono ricordati che per produrre un kg di carne rossa (cioè di origine bovina) occorrono mediamente oltre 15.000 litri d’acqua nel mondo. In Italia siamo un po’ più bravi e ci ”limitiamo” a circa 11.500 litri/kg.
In conclusione: il tema è complesso, ma la direzione (produrre e consumare un po’ meno carne nei Paesi più “sviluppati”) sembra tracciata, e se ciò avverrà sarà un bene per noi e per l’ambiente.
OLTRE LA SIEPE è una rubrica settimanale che parte da eventi/notizie relative all’ambiente e all’economia su scala nazionale o internazionale per riflettere su come queste possono impattare sulla scala locale e regionale toscana.
Sandro Angiolini – Figlio di mezzadri, è agronomo ed economista e ha conseguito un Master in Politiche Ambientali presso l’Università di Londra (Wye-Imperial College). Ha scritto numerosi articoli sui temi dello sviluppo rurale e sostenibile e tre libri sull’agriturismo in Toscana. Per 29 anni funzionario presso amministrazioni pubbliche, svolge attualmente attività di consulente economico-ambientale e per lo sviluppo rurale integrato, in Italia e all’estero, oltre a varie iniziative formative e di comunicazione. È fortemente impegnato nel settore del volontariato ambientale e culturale.
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