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Il cibo come rivoluzione culturale. Quando sarà un bene accessibile a tutti?

Il cibo come rivoluzione culturale. Orizzonti e strategie per garantirne l'accesso universale.

Alla Sant’Anna di Pisa due seminari con giuristi ed esperti europei su orizzonti e strategie per trasformare il cibo in un bene davvero comune.

 

PISA – Bene comune è una locuzione filosofica, tecnica, culturale ed economica riferibile a diversi concetti. Nell’accezione popolare viene così definito uno specifico bene condiviso da tutti i membri di una specifica comunità, con riferimento alla sua proprietà collettiva e al suo uso civico.
Il cibo può essere considerato un bene comune? C’è un modo alternativo di pensare al cibo oltre le logiche del mercato? Per due giorni, giovedì 10 e venerdì 11 giugno, il tema dei cosiddetti Food Commons, ovvero dei sistemi alimentari intesi come bene comune, è sotto i riflettori internazionali per iniziativa del gruppo di ricerca AgLAW (acronimo di Agricultural, Agrifood, Agrienvironmental Law) dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna.

Food Commons rappresentano un nuovo paradigma per sistemi alimentari più equi, ecologici e sostenibili? Queste e altre riflessioni sono al centro di due seminari organizzati da Antonio Manzoni della Scuola Superiore Sant’Anna e Jose Luis Vivero Pol dell’Università belga di Louvain, ai quali intervengono giuristi ed esperti europei.

Sistema alimentare bene comune (Food as Commons): teoria, implicazioni politiche e suggestioni per accademici e professionisti è il tema del seminario di giovedì 10 giugno: una riflessione sulle modalità di rivalutazione del cibo come diritto umano e bene comune per promuovere nuove politiche che spingano gli Stati a stabilire schemi di accesso alimentare universale (Universal Food Access).

“In tutta Europa e nel mondo occidentale – spiegano Antonio Manzoni e Jose Luis Vivero Pol – i mercati alimentari sembrano essere i meccanismi unici ed egemonici per ottenere l’accesso al cibo, oscurando meccanismi alternativi e non di mercato come l’autoproduzione, la condivisione del cibo, il baratto, la spigolatura o gli scambi di mercato con profitti limitati. La narrativa del mercato capitalista considera il cibo una pura merce, il cui obiettivo principale è la massimizzazione del profitto”.

La mercificazione alimentare – proseguono gli studiosi – priva tale risorsa vitale di altre dimensioni che non possono essere monetizzate: il cibo come diritto umano, come determinante culturale, come bene sacro o come risorsa naturale. L’UFA, l’accesso alimentare universale, invece, potrebbe proporre architetture istituzionali in cui una combinazione tra meccanismi di mercato, fornitura pubblica e azioni collettive civiche potrebbero garantire l’accesso a cibo sufficiente e adeguato ad ognuno, ogni giorno”. L’obiettivo è in sostanza quello di una rivoluzione per garantire la food security in un mondo di abbondanza.

Il seminario di venerdì 11 giugno si concentra sul tema dei Territori bene comune in Europa: primo scambio di dati, tipologie e rilevanza per la politica agricola comune. “Nel 2021 – spiegano i ricercatori , è stata lanciata una rete di ricercatori e commoners per valutare l’estensione dei territori dei beni comuni europei e la loro importanza come sistemi di produzione alimentare a livello nazionale. A questo scopo è stato creato un network di 67 ricercatori e attivisti da 35 Paesi europei. Il progetto prevede la redazione di un rapporto su quanta terra è posseduta, governata, gestita come un bene comune (collettivamente e in un’ottica di sostenibilità), quante persone sono coinvolte nella gestione e quanto rilevanti sono quelle aree per la produzione di cibo”.

“L’obiettivo finale di questa iniziativa – concludono Manzoni e Vivero Pol – è aumentare il profilo politico e la legittimità dei territori dei beni comuni nella politica agricola comune dell’Unione Europea, presentando la prima raccolta di dati per tutti i Paesi europei coinvolti nel progetto”.

Fonte: Scuola Superiore Sant’Anna

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  • E’ bene che gli studiosi della legge facciano questi censimenti, ma il problema della fame e della fame come fonte di conflitti e’ lontano dall’essere risolto. L’agricoltura industriale sta letteralmente distruggendo il mondo e come tale non e’ sostenibile. La sovrapopolazione umana del pianeta fa parte dell’equazione, anche se e’ assoluto tabu parlarne. Per saperne di piu’, leggete FOOD OR WAR di Julian Cribb (Cambridge University Press), disponibile su http://www.ibs.it per soli dieci euro.