Opinioni

Agricoltura verticale, per favore non chiamatela sostenibile

vertical farm-coltura idroponica

Un’industria del cibo artificiale che fa uso della chimica e non potrà mai eguagliare il sistema naturale di produzione e la sapienza dei contadini.

 

di Mario Apicella

Dispiace leggere un groviglio di contraddizioni fatte passare per presupposti scientifici quando molti giornali e gli stessi enti pubblici si dilungano sulla produzione idroponica di cibo senza terra, efficacemente definita “verticale”.
Le colture idroponiche, così come quelle aeroponiche, sono piene di chimica, non solo per i fertilizzanti che sono obbligate a utilizzare, ma anche per la continua disinfezione dell’aria e dell’acqua che subiscono (a danno degli stessi microrganismi utili di cui vorrebbero servirsi) intervenendo con pesticidi molto tossici mai citati, come l’imidazolo e il carbendazim e con gli stessi raggi gamma, non a caso vietati in agricoltura biologica persino per la conservazione degli alimenti.

Bisognerebbe evitare di divulgare falsità anche terminologiche e concettuali, dato che alla fine chi non è in grado di studiare e approfondire finirà per crederci.
La coltura idroponica, dopo il suo completo fallimento nell’ambito delle stesse piante ornamentali e dopo il flop dei viaggi spaziali che dovevano portare l’uomo ad assentarsi dalla Terra per anni e anni, non può essere proposta come alternativa alimentare e soprattutto va chiamata per quello che è: un’industria artificiale del cibo fatta in fabbriche che necessitano di grandi investimenti e tecnologia molto complessa, che non potrà comunque mai eguagliare il sistema naturale di produzione e le millenarie conoscenze contadine.

Per giustificare l’utilizzo di capannoni industriali che la tecnica idroponica richiede, alcuni divulgatori scientifici e le Regioni che stanno finanziando questi sistemi parlano della fame nel mondo e dell’aumento demografico che si prevede continuerà a crescere, inoltrandosi sul terreno dello sviluppo sostenibile e addirittura della biodiversità da preservare, argomenti di fatto molto lontani dalla tecnica propagandata ma ormai altamente appetibili, soprattutto per i finanziamenti ad essi riservati.

Si citano l’acqua risparmiata, la desertificazione che avanza, la deforestazione e l’inquinamento causato dall’agricoltura, dimenticando sempre che non sono problemi legati all’agricoltura biologica, da tutti auspicata come la soluzione del futuro e che non prevede l’uso dei sistemi di coltivazione senza terra.
Vengono ripetuti i ritornelli già usati per giustificare l’uso degli OGM, dei fertilizzanti chimici, dei pesticidi sintetici e l’irrazionale allevamento intensivo definito appunto, come questa tecnica di coltivazione, “senza terra”.

In sintesi i requisiti fondamentali nell’idroponica riguardano l’acqua, che viene continuamente disinfettata; la soluzione nutritiva e i nutrienti minerali che, essendo prevalentemente chimici, difficilmente potranno integrare i 30 diversi elementi di cui si nutre ogni pianta; il materiale di supporto che prevede ampio uso di materie plastiche; l’aria puntualmente sterilizzata chimicamente o con radiazioni, per garantire la totale assenza di contaminanti dall’ambiente; la luce e la climatizzazione che essendo artificiali compaiono tra i costi e gli squilibri indotti.

Si utilizzano inoltre bioeffettori (si inventano termini mai usati e ci si mette il prefisso bio davanti) e rhizobatteri, quindi microrganismi utili e composti di origine naturale che permettono di pubblicizzare piante con proprietà nutraceutiche per il miglioramento delle loro condizioni, momentaneo purtroppo, dato che vengono puntualmente uccisi sterilizzando la soluzione idroponica.
Si sta provando sperimentalmente a utilizzare nano particelle come gli ossidi di titanio, che sono puro veleno, allo scopo di migliorare l’assorbimento dei nutrienti e difendere le radici da possibili patogeni.
Infine abbiamo l’impiego delle migliori tecnologie Hi-tech, l’elaborazione sempre più sofisticata di algoritmi per il controllo e la gestione di ogni funzione degli impianti industriali con relativi tecnici super specializzati al comando dell’astronave.

Conclusioni

Non più contadini quindi, né terreno con cui sporcarsi le mani, né proteste per mancati redditi da disastri naturali o per i prezzi imposti. Solo cibo sterilizzato, investimenti in borsa e brevetti da far collaudare gratuitamente alle nostre Università per essere poi gestiti commercialmente dalle multinazionali dell’agro business.
Ricordiamo allora che il tanto declamato uso più efficiente di fertilizzanti e pesticidi non ne esclude l’immissione nell’ambiente e soprattutto nel piatto.

Che la fame nel mondo si combatte eliminando le royalties e le speculazioni sui semi e sul cibo, limitando l’uso esasperato e inutile di carne da allevamenti intensivi e sviluppando realmente la biodiversità locale e l’agricoltura biologica, ovunque vincenti per il loro avvicinarsi all’equilibrio naturale, che quest’industria del cibo non è in grado di considerare. (ToscanaChiantiambiente.it – Potrà mai l’agricoltura biologica sfamare la popolazione mondiale?)
Ma soprattutto che non basta un pannello fotovoltaico messo sopra un capannone, che si vuol far finanziare con le risorse destinate all’agricoltura biologica, per poter spacciare per sostenibilità ambientale l’inverosimile. (ToscanaChiantiambiente.it- Lo sviluppo sostenibile non può diventare aria fritta).