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Cibo biologico o no, le confezioni restano un problema (video)

Incontro promosso da Toscana Bio per la Sostenibilità con esperti e protagonisti del mercato. Alberto Bencistà: “Serve un tavolo per conciliare gli interessi della salute con quelli del mercato”.

 

di Marcello Bartoli

Un segmento consistente dell’enorme problema dei rifiuti è rappresentato da confezioni e imballaggi del cibo, biologico e non. Nella giornata dello Sciopero per il Clima del 19 marzo, Toscana Bio per la Sostenibilità ha organizzato l’incontro online Cibo bio, lo sballiamo? con alcuni protagonisti della grande distribuzione e del mercato del bio. Tra i relatori figuravano: Rossano Ercolini, presidente di Zero Waste Italy; Luciano Villani, responsabile imballi di Coop Italia; Rossella Bartolozzi, presidente della Fondazione Est Ovest e chief financial officer di Probios; Alessandra Nocentini di Green Go, bottega alla spina e ristorante sostenibile di Firenze; Cristina Olivieri, giornalista e titolare di Papaveri di Mare a Livorno, bottega di prodotti sfusi e complementi d’arredo. Moderatori dell’incontro Laura Lo Presti e Alberto Bencistà dell’associazione organizzatrice.

Gli imballaggi sono uno strumento di marketing importante, spesso però possono rivelare un atteggiamento poco coerente da parte di molti protagonisti del mercato, soprattutto quelli biologici, che se da una parte sembrano praticare un business in sintonia con le istanze dell’ambiente dall’altra usano confezioni che finiscono nell’indifferenziato o che non possono essere riciclate.
In un sondaggio di Ipsos Italia del 2019 il 41% degli intervistati si era dichiarato disposto a smettere di comprare prodotti venduti in confezioni non riciclabili, dimostrando alta sensibilità al tema. La crescita dei gruppi di acquisto solidale degli ultimi anni sembra confermare questo trend. Ma quali sono gli imballaggi necessari e quelli superflui secondo le norme?

Rossano Ercolini ha parlato spesso dell’importanza di studiare confezioni che escano fuori dalla logica lineare delle fonti fossili e della necessità di una visione olistica dei produttori: “Gli attori biologici rappresentano un vero e proprio presidio sanitario e non possono non mettere l’attenzione sulle confezioni – ha argomentato Ercolini – perché la natura funziona a livello sistemico, olistico e non in modo schizofrenico. Molti imballaggi sono un misto di plastica e cellulosa, o di plastica, cellulosa e alluminio ma troppe confezioni vanno a finire nell’indifferenziato perché nessun materiale prevale sugli altri e non sono riciclabili. Molti produttori dovrebbero dunque spendere meno in pubblicità e migliorare le confezioni”.

“ Come Centro Rifiuti Zero stiamo lavorando in modo particolare sugli imballaggi di frutta e verdura – ha continuato Ercolini – e molte confezioni hanno classificazioni diverse a seconda del grado di impurità. Molte rischiano di diventare pulp waste per via dello scarso grado di recupero. Il rischio è passare da tutto plastica a tutto misto. Molte aziende fanno greenwashing ma poi risparmiano sugli imballaggi. Il prodotto deve essere biologico anche nelle confezioni, almeno per quanto è possibile. E il decisore politico non deve fare il soprammobile. La Regione Toscana, ad esempio, non dovrebbe continuare a fare una narrazione positiva degli inceneritori”.

“Si dovrebbe investire in prodotti alla spina, con meno imballaggi, e quindi sullo sfuso – ha concluso il presidente di Zero Waste Italy – valorizzando le produzioni locali e l’acquisto del fresco al banco senza imballaggi. Le finestrine delle confezioni per vedere la merce si possono sostituire con il vetro liquido o con la cellulosa. Coop sta provando il quarzo per andare oltre la bioplastica che ha una biodegrabilità molto lenta anche in mare. La favola del mercato che giustifica tutto non va bene. I produttori biologici devono essere coraggiosi e non possono fare scelte dettate esclusivamente dalla competitività economica”.

L’importanza dell’imballaggio è relativa soprattutto alla conservazione del prodotto – ha commentato Luciano Villani, responsabile imballi di Coop – perché la vera piaga si chiama spreco alimentare. La confezione per il bio è molto importante perchè può aiutare a comunicare il valore e la qualità aggiunta del prodotto. E se usiamo imballaggi di plastica che sia almeno plastica riciclabile”.

“Molte aziende si fidano di fornitori di imballaggi che producono con macchine desuete – ha concluso Villani – ma la plastica che non viene riciclata è il vero male, quella che può essere riciclata può far parte di una filiera di economia circolare. Le scelte politiche restano fondamentali ma se una Regione ha scelto di investire sugli inceneritori è facile che poi adotti politiche sugli imballaggi che possano alimentarli. Anche il consumatore ha la sua parte di responsabilità durante la scelta. Presto ci sarà un obbligo normativo sugli imballaggi che obbligherà tutti a dire di cosa sono fatti e dove vanno”.

Meno entusiasta circa la possibilità di andare oltre la plastica con le tecnologie attuali è apparsa Rossella Bartolozzi: “Comprare sfuso o tornare agli imballaggi di una volta non ci sembra la via praticabile, almeno per ora. La plastica consente di conservare più a lungo e di proteggere i prodotti da contaminazioni di vario genere. Il Made in Italy ha bisogno di prodotti che possano essere conservati bene e a lungo. Il tetrapak riutilizzabile dovrebbe essere favorito dalla politica. Le aziende serie del biologico hanno comunque costi enormi e i bilanci non sono così rosei, se ci sono materiali che possono sostituire la plastica ben vengano”.

Per Alessandra Nocentini “il consumatore di biologico è più attento. Tanti prodotti freschi sono acquistabili in carta. Io sono per la rinascita delle botteghe sotto casa. Per quel che ci riguarda tutto ciò che vendiamo non viene buttato via. Noi portiamo a casa dei clienti delle cassette che ci vengono restituite e facciamo vuoto a rendere. Così anche per le uova. I detersivi li vendiamo sfusi e regaliamo il contenitore iniziale in vetro”.

Di parere simile Cristina Olivieri: “Molti dei nostri clienti portano i contenitori che vengono utilizzati più e più volte. Facciamo parte di un network di botteghe di sfuso in tutta italia. I prodotti cosmetici solidi per esempio consentono di usare la carta e non hanno bisogno di confezioni. In questa fase di pandemia riceviamo molti apprezzamenti come negozio di quartiere anche per la nostra attitudine a offrire consigli personalizzati”.

Green Deal e Farm to Fork rappresentano dei segnali forti dall’Europa e la fase a livello istituzionale sta cambiando – ha chiuso Alberto Bencistà – ma gli Stati nazionali rappresentano spesso un ostacolo all’attuazione delle direttive europee. Farm to Fork vuole cambiare completamente la filiera agroalimentare. Serve organizzare un tavolo per far dialogare le varie esperienze tra i soggetti protagonisti del mondo del biologico”.

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