Opinioni

Toscana libera dal Glifosate? Spiacenti ma per adesso non se ne parla

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Nonostante le promesse non si intravede nessuna messa al bando. Quello che invece non può attendere è il Piano nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi.

 

di Mario Apicella, agronomo

Il Glifosate in Toscana continua a essere il diserbante più venduto e per ora non si intravede nessuna messa al bando, come qualcuno ha superficialmente dedotto dalle ultime norme varate dalla Direzione agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana.

Analizzando e studiando la normativa regionale in ambito agricolo, non è risultato per niente interessante il divieto dell’uso di Glifosate deliberato il 12 febbraio 2021 dal decreto 2085 solo per 156 aziende agricole toscane, insieme ad altri 11 pesticidi molto tossici non più autorizzati in tutta l’Unione Europea. La montagna ha partorito un topolino dopo che nell’autunno 2019 la Giunta precedente, dovendo eliminare quattro pesticidi vietati in Europa dall’elenco dei pesticidi ammessi solo in Toscana a ridosso dei corpi idrici, aveva promesso una Toscana Glifosate Free entro il 2021.

Ogni anno, per queste poche centinaia di aziende che utilizzano finanziamenti destinati dall’Unione Europea all’agricoltura che si impegna a limitare l’uso scriteriato dei pesticidi (vietato per legge, ma ammesso per prassi), si producono dei veri e propri cataloghi di pesticidi utilizzabili per tutte le patologie e le esigenze di diserbo chimico in ogni coltura agraria possibile e immaginabile.

Idealmente solo le aziende che utilizzano il marchio della produzione integrata o che vengono finanziate dai Piani di Sviluppo Rurale di ogni regione per le così dette misure “agro climatico ambientali” possono utilizzare la corsia privilegiata dei cataloghi menzionati (quello toscano vanta 300 dettagliate pagine) che il Decreto legislativo 150 del 2012 definisce con molta fantasia e scarsissimi risultati di “Difesa integrata volontaria”.

L’agricoltura integrata, conosciuta anche come produzione integrata, si avvantaggia in Italia dal 2014 di questa così detta “difesa integrata volontaria” in sostituzione della difesa integrata obbligatoria che regola l’uso sostenibile dei pesticidi in tutta Europa per tutte le aziende agricole.
In Italia le aziende che utilizzano il marchio della produzione integrata sono solo 379 con una superficie agricola certificata pari a 14.000 ettari, pascoli compresi (www.reterurale.it-Sistemi di Qualità Nazionale Produzione integrata).

Un costosissimo flop che spreca finanziamenti pubblici e fior fior di scienziati, tutti impegnati a segnalare quante volte in un anno si può utilizzate un pesticida in base alla sua tossicità e quanti pesticidi si possono alternare per ogni malattia o squilibrio che si manifesta in campo (soprattutto usando fertilizzanti chimici) per colpa del clima, del governo e degli alieni.

Se si considera che le aziende certificate Bio, in continua crescita, superano ormai gli 80.000 operatori e arrivano a coprire circa 2 milioni di ettari dei 12 milioni coltivati in tutta Italia, disponendo di un bassissimo supporto scientifico da parte dello Stato se non per redigere statistiche e sviluppare studi da lasciare nei cassetti o volti spesso a screditarne la valenza, si capisce che il problema è solamente politico.

La volontà predominante nel Ministero e nei diversi assessorati regionali, gestiti dai dirigenti più che dai ministri e dagli assessori, è più orientata a soddisfare le esigenze dei venditori di pesticidi che non agli interessi della salute, all’adeguamento alle direttive europee e alle leggi, agli interessi dello stesso mondo agricolo e della Nazione tutta, con l’unica scusa che “senza pesticidi sintetici l’intero comparto agricolo italiano sarebbe distrutto”. Clamorosamente contraddetta dai fatturati e dalla costante crescita dell’agricoltura biologica italiana.

Non serve quindi esultare se le pochissime aziende che sono obbligate a rispettare i disciplinari della difesa integrata “volontaria” in Toscana non potranno più utilizzare il Glifosate, anche perché il famoso catalogo dei pesticidi menzionato, che le istituzioni in ogni regione continuano a definire “disciplinare”, continua a contemplare comunque in Toscana l’impiego di altri 51 erbicidi, in aggiunta a 14 fitoregolatori, 51 funghicidi, 38 insetticidi, 3 nematocidi e 8 acaricidi, tutti utilizzabili anche a ridosso di sorgenti e pozzi, laghi e torrenti utili per rifornire la rete idropotabile regionale.

Sembra un tema molto tecnico, ma è importante considerare che per legge la difesa integrata obbligatoria che devono seguire tutte le altre centinaia di migliaia di aziende agricole italiane, comprese quelle certificate Bio, prevede che “Ai metodi chimici devono essere preferiti metodi biologici sostenibili, mezzi fisici e altri metodi non chimici se consentono un adeguato controllo degli organismi nocivi” rendendo di fatto l’uso del diserbo chimico fuori legge, essendo prassi consolidata da secoli liberarsi delle infestanti con le tradizionali lavorazioni del terreno, con razionali rotazioni e con sovesci che arricchiscono di sostanza organica l’organismo terra.

La legge in vigore dal 2014 prevede tra l’altro che gli organismi nocivi devono essere monitorati con metodi e strumenti adeguati e che i pesticidi possono esser acquistati e distribuiti in campo solo da operatori abilitati, che in Italia alla fine del 2016 (ultimo dato disponibile) dopo 2 anni di applicazione della legge erano solo il 25% degli agricoltori, con macchine irroratrici nuove o controllate per la loro funzionalità, che in Italia risultavano alla fine del 2017 solo il 38%!

Nell’ultimo report del 2020 la Corte dei Conti europea segnala che molti Stati non hanno ancora stabilito criteri chiari o requisiti specifici che aiutino a rendere esecutivo l’obbligo della difesa integrata (da non confondere con l’agricoltura integrata, la lotta integrata, la produzione integrata e la difesa integrata volontaria) e a verificarne il rispetto (www.eca.europa.eu) essendo stata varata una Direttiva che da 12 anni prevede il ricorso ai pesticidi sintetici solo se la prevenzione e altri metodi falliscono o non sono efficaci. Cosa resa ormai insostenibile dai grandiosi risultati raggiunti in ogni comparto produttivo dall’agricoltura biologica.
La Corte dei Conti europea chiede per questo di adottare sistemi che consentano di verificare l’uso della difesa integrata a livello di azienda agricola e di consentire il collegamento della difesa integrata ai pagamenti a titolo della nuova PAC.

Gli strumenti da utilizzare per applicare la Direttiva CE n. 128 del 2009 sull’uso sostenibile dei pesticidi sono tantissimi e saranno tutti riportati nel Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi che moltissime associazioni agricole e ambientaliste hanno già redatto già nel 2019 come “osservazioni” a un deprecabile PAN proposto dal vecchio Comitato tecnico scientifico, ormai rinnovato con due anni di ritardo – nel luglio del 2020 – esclusivamente con noti detrattori del biologico anziché, come avrebbe richiesto la logica, da specialisti con curricula e studi inerenti il tema della riduzione dei pesticidi in agricoltura.

Serve che prima che ci arrivi sui campi il peggior PAN immaginabile si tiri fuori il PAN che abbiamo già scritto il 15 ottobre 2019, riprendendo l’incedere coeso delle tante associazioni nazionali, supportate da moltissime associazioni e biodistretti locali, per dimostrare di saper fare squadra, come per gli OGM e gli NBT che questo inverno hanno provato a deregolamentare. Facciamo capire che il mondo agricolo che chiede una coerente evoluzione non sfila nei corridoi dei ministeri ma nelle migliori campagne coltivate e sugli stessi scaffali frequentati dai consumatori più responsabili e consapevoli.
I tempi sono maturi per non indugiare.

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