Il progetto Nanobond aiuterebbe a rimuovere gli inquinanti attraverso l’utilizzo di nanospugne derivate da cellulosa al macero e da scarti organici.
SIENA – Molti studi scientifici confermano il potere di alcune piante, come il pioppo, nel purificare l’acqua dall’inquinamento. La nuova frontiera per il trattamento delle acque inquinate è rappresentata dai nanomateriali che si ottengono da scarti o rifiuti agricoli e che non rappresentano un pericolo per gli ecosistemi naturali. Lo dimostra il progetto Nanobond, nanomateriali per la bonifica associata a dewatering di matrici ambientali, cofinanziato dal Fondo europeo per lo Sviluppo regionale 2014-2020, di cui è coordinatrice scientifica la professoressa Ilaria Corsi, ecologa del dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena.
Il progetto associa alle membrane geotessili drenanti, già ampiamente usate per dragare le acque e i sedimenti contaminati, l’uso di nanotecnologie sostenibili ed ecocompatibili, che agiscono rimuovendo inquinanti nocivi dalle acque e dai sedimenti.
La decontaminazione avviene attraverso l’utilizzo di nanospugne sviluppate al Politecnico di Milano e all’Università di Torino, e appositamente ri-progettate nell’ambito di Nanobond seguendo il principio dell’eco-design, cioè con un occhio di riguardo alla loro sostenibilità e sicurezza ambientale ai fini del trattamento delle acque e dei sedimenti.
Le operazioni di dragaggio idraulico avvengono quindi sia con un filtraggio meccanico, attraverso i geotessili, sia con l’utilizzo associato delle nanospugne che permettono di decontaminare le acque in uscita e anche i sedimenti raccolti e stoccati dai geotessili. Materiali che a seconda dei casi saranno poi smaltiti o riutilizzati.
I nanomateriali garantiscono così un adeguato trattamento delle acque senza necessità di un impianto di depurazione, con un notevole risparmio soprattutto su bacini d’acqua molto grandi: canali di bonifica o aree portuali, come il porto di Livorno o la darsena dei Navicelli a Pisa dove il progetto è stato testato.
“Già questo basterebbe a definire il progetto sostenibile – spiega Ilaria Corsi – ma Nanobond ha aggiunto un tassello in più in quanto i nanomateriali che abbiamo utilizzato per creare le nanospugne provengono da scarti recuperati. Per questo tra i partner c’è anche Bartoli, un’azienda cartaria. Le nanospugne sono prodotte da cellulosa di carta da macero o da scarti organici, i tuberi, da cui abbiamo ricavato l’amido”.
Nanobond ha anche contribuito a colmare un vuoto legislativo nazionale ed europeo. Prima di questo progetto, proprio perché non si conoscevano gli effetti sull’ecosistema dei nanomateriali impiegati per le bonifiche, l’Unione europea non poteva coprire queste pratiche con una legislazione che le legittimasse. La ricerca sulla tecnologia di nanoremediation di Nanobond ha permesso di sviluppare anche un documento di raccomandazioni che contiene le linee guida per l’utilizzo dei nanomateriali ecocompatibili per la bonifica di siti contaminati. “In un certo senso abbiamo anticipato i pilastri del Green Deal europeo – dice Ilaria Corsi – zero pollution ed economia circolare”.
“Abbiamo deciso di non richiedere il brevetto – conclude la professoressa Corsi – è un progetto finanziato con fondi pubblici e deve essere quindi alla portata di tutti”.
Al progetto, di cui è capofila l’azienda Acque industriali srl, hanno partecipato come partner Bartoli spa azienda cartaria, Biochemie LAB srl, Ergo srl, Labromare srl, il consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali con le Università di Siena, Pisa, Torino e il Politecnico di Milano, oltre all’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (ISPRA) e l’Agenzia per lo Sviluppo Empolese Valdelsa (ASEV).
Fonte: Università di Siena
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