I valori limite superati ‘in maniera sistematica e continuata’ in alcune zone tra il 2008 e il 2017. La Toscana interessata con la Piana Prato-Pistoia, il Valdarno Pisano e la Piana Lucchese.
di Gabriella Congedo
Sulla qualità dell’aria non siamo messi tanto bene e l’Europa non ci fa sconti. La Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia per aver superato in alcune zone del suo territorio tra il 2008 e il 2017 “in maniera sistematica e continuata” i valori limite per il PM10 fissati dalla direttiva “Qualità dell’aria” (Direttiva 2008/50/CE). La sentenza è stata pronunciata lo scorso 10 novembre e adesso una nota di Arpat, l’Agenzia di protezione ambientale della Toscana, ne rende note le motivazioni.
L’iter che ha portato alla sentenza
Il procedimento è stato avviato dalla Commissione Europea nel 2014. Secondo la Commissione, da una parte l’Italia a partire dal 2008 ha superato in maniera sistematica e continuata i valori limite giornaliero e annuale relativi alle concentrazioni di particelle PM10, dall’altra non ha adottato misure appropriate per risolvere il problema.
Merita ricordare che in Toscana questi valori sono stati ampiamente superati dal 2008 al 2013, poi nuovamente dal 2015, nella zona Prato-Pistoia; dal 2008 al 2012, poi nuovamente dal 2014, nelle zone Valdarno Pisano e Piana Lucchese.
Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti dall’Italia nella fase preliminare del procedimento la Commissione, il 13 ottobre 2018, ha proposto dinanzi alla Corte di Giustizia Europea un ricorso per inadempimento, accolto dalla Corte con la sentenza pronunciata il 10 novembre 2020.
Le motivazioni
Come prima cosa la Corte ha giudicato fondata la censura relativa alla violazione “sistematica e continuata” delle disposizioni della direttiva «Qualità dell’aria». Per dieci anni, dal 2008 al 2017 incluso, i limiti giornalieri e annuali fissati per le particelle PM10 – stabiliti per prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente – sono stati regolarmente superati nelle zone interessate.
Il supremo organo di giustizia comunitario non ha poi concesso nessuna delle circostanze attenuanti invocate dall’Italia. È irrilevante – ha stabilito – che l’inadempimento derivi dalla volontà dello Stato membro, dalla sua negligenza oppure da difficoltà tecniche o strutturali, salvo “stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza”. Circostanze eccezionali sulle quali l’Italia non è riuscita a dare prove convincenti.
Respinta come non rilevante anche la circostanza, avanzata dall’Italia, dell’estensione limitata delle zone interessate dal superamento dei limiti per il PM10 rispetto all’insieme del territorio nazionale.
Altro tasto dolente la mancata adozione di misure adeguate. Lo Stato membro, ha stabilito la Corte, è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria affinchè il periodo di superamento dei valori limite, di per sé non sufficiente a considerare lo Stato inadempiente, sia il più breve possibile. E questo l’Italia l’ha fatto troppo tardi. Oltretutto, molti dei piani adottati recentemente fissano il raggiungimento degli obiettivi di qualità dell’aria in tempi lunghissimi, di anni se non addirittura di decenni. Tempi incompatibili con quelli prescritti dalla direttiva.
L’approccio dell’Italia – ha concluso la Corte – si risolverebbe “nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori, allorché essi sono stati fissati proprio nell’ottica di conseguire tali obiettivi”.
Forse è arrivato davvero il momento di darsi una mossa.
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