Inquinamento

Inquinamento da marmettola nelle falde apuane, al via indagine Arpat – Unifi

Confluenza tra il Carrione e il Gragnana (foto Legambiente Carrara)
Confluenza tra il Carrione e il Gragnana (foto Legambiente Carrara)
La ricerca analizzerà e metterà a confronto i sedimenti prelevati dai fiumi sotterranei con quelli presi dalle cave. Lo scopo, valutare l’impatto reale dell’estrazione del marmo.

 

di Gabriella Congedo

MASSA CARRARA – Il bianco che dopo qualche giorno di pioggia intorbida fiumi e sorgenti delle Apuane è dovuto agli sversamenti di marmettola, una fanghiglia che si crea dalla mescolanza tra scarti di lavorazione del marmo, terre di cava e acqua. Un miscuglio micidiale che cementifica gli alvei, distrugge i microhabitat, occlude le branchie di pesci e invertebrati, forma uno strato impermeabile che soffoca ogni forma di vita.
È una storia vecchia. Le cave, accusano gli ambientalisti, dovrebbero smaltire gli scarti di lavorazione come rifiuti speciali ma spesso non lo fanno e li abbandonano nei piazzali, da dove poi la pioggia li trascina nei fiumi e infine in mare.

Adesso si cercherà di vederci un po’ più chiaro. Per capire come avviene l’inquinamento da marmettola nelle acque sotterranee delle Apuane – e cercar di valutare le responsabilità dell’attività estrattiva – ARPAT, l’Agenzia regionale per la Protezione ambientale e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze hanno stipulato un accordo per un’indagine da condurre insieme.
Saranno analizzati e messi a confronto i sedimenti presenti nelle acque sotterranee (gli acquiferi) e nelle sorgenti a valle con quelli che si producono nelle cave di marmo.

La comparazione tra la marmettola campionata nel luogo di produzione e quella prelevata all’interno di un acquifero, si legge sul sito di Arpat “sarà basata principalmente sulle sue caratteristiche granulometriche e morfologiche e potrà fornire elementi utili per la valutazione del contributo di origine antropica all’inquinamento in atto”.

Le analisi di laboratorio sui campioni sfrutteranno le tecnologie più avanzate, dalla microscopia ottica ed elettronica alla diffrattometria RX. Lo scopo, spiega l’agenzia, è quello di arrivare a “una valutazione completa degli impatti dell’attività estrattiva sul sistema degli acquiferi”.
La ricerca rientra nel Progetto speciale Cave di Arpat. Si concluderà alla fine del 2020 ma i primi risultati saranno resi noti già a metà del prossimo anno.