È l’imballaggio perfetto perché si mangia e non lascia rifiuti. Ma ecco l’assurdo che non ti aspetti: il cono singolo imballato nella plastica.
di Laura Lop
Sapete qual è il modello di imballaggio che preferiamo? Il cono gelato, perché si mangia e non rimangono rifiuti. Questo è quanto spesso ripetiamo ai ragazzi e ai visitatori che passano dal Centro di Ricerca di Capannori.
Da oggi però mi verrà in mente di allungare la frase specificando: a meno che non sia singolarmente imballato in sacchetti di plastica.
Un soleggiato pomeriggio di fine settembre, che tocca i 25° soltanto un giorno dopo le torrenziali piogge che hanno allagato alcuni dintorni, e una gelateria popolata da bimbi con i calzoncini ancora corti e adulti accaldati.
Mi guardo intorno e nello stile più classico trovo una panoramica di plastica a tutto tondo: “dal prossimo anno, sarà tutto ecologico” mi aveva assicurato il titolare qualche mese fa. Nel frattempo, però, si pensa bene di esaurire le scorte di plastica, che tanto oramai sono nei magazzini.
Condivisibile, se non fosse che mi cade l’occhio sull’assurdo superfluo, su queste pazze contraddizioni in cui sguazziamo: il cono singolo imballato nella plastica.
Quanto siamo coscienti che la plastica e, più generalmente parlando, la mole dei nostri consumi e la quantità dei nostri rifiuti vanno ridotti per la nostra stessa sopravvivenza?
Da sempre vediamo coni sfusi ed esposti pronti all’uso. Mettiamo il caso che a qualcuno venga in mente di comprare il cono da asporto e abbia anche fretta, la manovra di sfilare-imbustare-vendere al cliente – possibilmente in sacchettino di carta – il prodotto, credo si possa sintetizzare in pochi attimi. E allora, perché me lo imbustate pronto sul bancone?
Ripetiamo una serie di gesti automatici accompagnati da frasi fatte con la scusa di scrollarsi ogni responsabilità di dosso. E invece no, ognuno è sempre in ogni momento, in ogni ruolo, in ogni ambito, responsabile delle proprie azioni.
Una commessa dovrebbe rifiutare di assecondare pratiche inutili, un consumatore dovrebbe rifiutare di scegliere un prodotto del genere, nella cura di quelle che sono le nostre necessità primarie, da rimodulare nell’epoca in cui citando Greta “siamo sull’orlo di un’estinzione di massa” per calamità ambientali.
Un NO al consumismo che ci sta divorando la Terra sotto i piedi.
Penso al gestore che magari sinceramente si adopera per adeguarsi alle norme europee del plastic free, circoscrivendo il cambiamento a quei 10 prodotti che andranno eliminati. Non è sufficiente, non è realistico, non è nemmeno il senso della campagna plastic free.
In prima battuta servirebbe lavorare per una vera coscienza ecologica, inserire l’educazione ambientale a scuola, organizzare tanti approfondimenti per gli adulti, ripensare ogni evento come occasione di insegnamento e buoni esempi da mostrare per la riduzione dell’impronta ecologica.
Allora sì che vedremmo il rispetto dello slogan plastic free non solo per far uscire la cannuccia dalla porta e far rientrare il cono imballato dalla finestra, ma per l’impellenza di analizzare, limitare, ripensare ogni azione. Con cura, ma con quella terribile urgenza di avere la casa in fiamme.
Laura Lo Presti vive sulle colline del Montalbano, circondata dalla Natura e dai suoi gatti. Attivista ambientale per passione, collabora con il Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori (www.rifiutizerocapannori.it) e con Ekoe società cooperativa (www.ekoe.org) per la commercializzazione di stoviglie e imballi ecologici.
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