I ricercatori dell’Università di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna hanno utilizzato i dati sulla fioritura delle albicocche dal 1973 al 2016 come indicatore dei cambiamenti climatici.
Gli inverni sulla costa toscana da 40 anni a questa parte sono diventati meno freddi, e non di poco. La temperatura media a gennaio e a febbraio è aumentata di quasi 2 gradi, da circa 8°C a 9.9°C, e se si considera tutta la stagione, da novembre a marzo, l’incremento è stato di 1,6 gradi, da 9.9°C a 11.5°C.
Il dato emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista “Scientia Horticulture” condotta dal gruppo di lavoro del professor Rolando Guerriero, oggi in pensione, composto da ricercatori del dipartimento di Scienze Agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa e dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna.
I ricercatori hanno analizzato i dati sulla fioritura di 40 diverse varietà di albicocco coltivate nell’azienda sperimentale dell’Ateneo pisano a Venturina (Livorno) per oltre quarant’anni, dal 1973 al 2016. Il periodo di fioritura degli alberi da frutto è infatti strettamente legato alle temperature dei mesi invernali e proprio per questo è uno degli indicatori più utilizzati per gli studi sui cambiamenti climatici.
Da questo punto di vista la ricerca pisana è poi un caso unico: a Venturina si trova una delle più importanti collezioni di germoplasma di albicocco di tutto il bacino del Mediterraneo e così è stato possibile osservare la fioritura di più varietà nelle stesse condizioni sperimentali e per un periodo molto lungo.
I risultati dello studio hanno mostrato un aumento consistente delle temperature medie mensili del periodo autunno-invernale con un incremento più marcato a partire dagli anni ’90. In particolare l’escursione termica media giornaliera, cioè la differenza fra la temperatura massima diurna e la minima notturna, è diminuita di quasi 1 grado e mezzo passando da 10.1°C degli anni ’70-’80 a 8.8°C del 2013-2016.
Un calo drammatico c’è stato poi anche per le Unità di Freddo, cioè le ore con una temperatura inferiore ai 7 °C che servono alle piante per superare la dormienza delle gemme a fiore, che sono passate da circa 1.300 negli anni ’70-’80 a 800 nel 2012-2016.
“Questi cambiamenti climatici incidono negativamente sui principali processi biologici stagionali delle coltivazioni causando spesso produzioni irregolari e, di conseguenza, riduzioni della produttività dei frutteti – spiega Rossano Massai dell’Università di Pisa – La maggior parte delle varietà esaminate, appartenenti sia al germoplasma italiano che straniero, raggruppate in funzione della diversa epoca di fioritura, ha mostrato negli anni notevoli ritardi nell’epoca di fioritura e riduzioni nell’intensità”.
Un mancato o insufficiente superamento della dormienza infatti ha un influsso negativo sulla schiusura delle gemme e, di conseguenza, sull’epoca e sull’abbondanza della fioritura che negli ultimi 40 anni si è quasi dimezzata, soprattutto per le varietà a fioritura precoce.
“Il quadro che emerge dalla ricerca lascia intravedere un cambiamento di scenario con uno spostamento più a nord della coltura – conclude Susanna Bartolini della Scuola Superiore Sant’Anna–. Se in passato nella Maremma toscana si potevano ottenere produzioni interessanti ed economicamente sostenibili anche con varietà a fioritura più tardiva, oggi sembra più opportuno orientarsi verso varietà a basso fabbisogno di freddo e adatte a climi caldi o semiaridi; senza contare che il calo complessivo della produttività potrebbe portare a una forte limitazione nell’approvvigionamento di frutta locale e alla necessità di importarla dall’esterno per soddisfare il fabbisogno”.
Fonte: Università di Pisa
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