Agricoltura

Pasqua amara per gli allevatori toscani, crollano i consumi di agnello

Agnelli
L’allarme di Confagricoltura: «Costretti a svendere la carne pregiata e di qualità”. In controtendenza l’aumento di richiesta da parte della comunità musulmana.

 

Pasqua sempre più amara per gli allevatori toscani, con la tradizione dell’agnello in caduta libera. Meno 15%, secondo le stime di Confagricoltura. E quella che è un’ottima notizia per animalisti e vegetariani diventa da allarme rosso per chi, con l’allevamento, ci deve campare.

«Le richieste rimangono più o meno stabili nelle zone di campagna, ma nei centri abitati più grandi e nelle città la tradizione dell’agnello pasquale è sempre meno praticata» spiega Angela Saba, presidente della sezione Ovicaprini di Confagricoltura Toscana. «In alcune aziende i capi non sono stati addirittura ritirati e molti allevatori, per tutelarsi, hanno accettato di vendere con largo anticipo ai commercianti, che poi hanno provveduto a congelarli in attesa delle festività».

Nemmeno la consueta impennata degli acquisti last minute sembra in grado di salvare la situazione. «Ogni anno che passa siamo costretti a vendere ai grossisti a prezzi sempre più bassi e anche in occasione di questa Pasqua i nostri margini perdono più del 20 %» spiega ancora Saba. «Chi ha venduto in questi giorni lo ha fatto a una media di 3,50 euro al chilo, ma chi si è mosso più di un mese fa ha dovuto abbassare il prezzo a 2,50 euro. Prezzi ridicoli per una carne pregiata e di grande valore nutrizionale».

Una situazione preoccupante quella degli allevatori toscani, come fa notare Confagricoltura. Gli allevamenti sono concentrati soprattutto in Maremma e ogni anno, secondo le stime dell’associazione, 50 aziende sono costrette a chiudere.
Si arriva così, per ridurre i costi, a sostituire le razze autoctone con pecore di razze straniere. Che vengono allevate al chiuso e non al pascolo. “Il pascolo brado non inquina e permette la conservazione del territorio, a differenza dell’allevamento intensivo che fortunatamente finora non ha mai preso piede nella nostra regione, ma che diventerà l’unica alternativa alla scomparsa della pastorizia tradizionale» denuncia ancora Saba.

Unica nota positiva: è in forte aumento la richiesta dal mondo musulmano, grande consumatore, per motivi religiosi, di carne ovina. «Ormai una bella fetta di mercato, circa un 20% della nostra produzione, segue questo canale di vendita» conclude Saba. «Una conseguenza della società che cambia, alla quale guardiamo con molto interesse visto che genera un consumo costante, distribuito su tutto l’anno e non concentrato nelle festività natalizie e pasquali come è per la maggior parte degli italiani. Credo tuttavia che sia molto importante invertire questo trend con un consumo consapevole che faccia riflettere tutti senza seguire mode insensate che stanno distruggendo interi comparti produttivi”.

Fonte: Confagricoltura Toscana

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